“Avere la libertà nei sogni” – Intervista esclusiva a Goran Bregovic

Creato il 17 maggio 2012 da Thefreak @TheFreak_ITA

A cura di Daniele Pratolini

Esiste una musica che proviene da un Est Europa molto vicino, una musica dai suoni accesi come malinconici, sporcata dal sangue della guerra come dal folklore di un popolo, una musica che racconta una storia, una vita, un uomo.

Questa è la musica di Goran Bregovic, classe 1950, natio di Sarajevo, ormai cittadino del mondo.

Cresciuto artisticamente nel gruppo rock Bijelo Dugme, divenuto il più famoso e apprezzato di tutta Sarajevo a cavallo tra gli anni 70 e 80, deve la sua consacrazione come musicista e compositore alla produzione di meravigliose colonne sonore dei più celebri e apprezzati film di Emir Kusturica, che l’hanno reso noto al panorama internazionale.

Ma Bregovic ha contribuito in modo eccezionale a diffondere la musica balcanica estrapolandola dal suo scenario autoctono e locale, rendendola musica del mondo, con il suo pittoresco e vivace carrozzone di strumenti e sonorità, con i racconti che rievoca e l’energia che sprigiona. Ma i fasti zingareschi che sono stati più volte riproposti da Goran celano un dark side amaro e profondo, un lato oscuro nostalgico e affranto, che passa dalla povertà, alla soppressione culturale e sociale, alla guerra infinita in cui il popolo balcanico ha visto distruggere le sue mura vitali come le pareti di un’anima travagliata e strappata alla luce, come nello struggente Underground Tango,  una triste ballata che profuma di poesia e di ricordi che bruciano sotto pelle.

Goran Bregovic vanta nella sua carriera numerose collaborazioni con gli artisti più acclamati e talentuosi della scena musicale internazionale, ha calcato palchi importanti e prestigiosi, fino a giungere, come atto di estremo omaggio del maestro, ad accettare il ruolo di mastroconcertatore per L’evento concerto della Notte della Taranta 2012 a Melpignano, nel basso Salento, un appuntamento che ha come obiettivo quello di far rivivere le tradizioni musicali salentini e che approfitta e valorizza le contaminazioni musicali più varie e provenienti da ogni parte del mondo. Uno spirito che sicuramente caratterizza la musica Goran Bregovic, sempre dedito alla contaminazione di generi e suoni, di parole e dialetti, di poesia e arte.

Nell’intervista a seguito il maestro si racconta, ed è pura poesia emotiva leggere parole pregne di un significato alto e che subisce influssi personali contaminati ad esperienze consumate nel corso di una vita.

“Ma solo nei miei pensieri viaggio senza paura, avevo la mia libertà solo nei miei sogni” (Da Ausencia – Goran Bregovic)

Raccontaci come e perchè hai iniziato a fare il musicista..

Mio padre era un militare e da giovane suonava il violino nel suo Paese e voleva che anch’io lo suonassi. Così ho intrapreso a suonare quello strumento, ma più tardi  ho capito che alle ragazze piacevano di più i chitarristi e sono passato alla chitarra elettrica. Ho iniziato a esibirmi  nei bar quando avevo quindici anni e suonavo le musiche tradizionali con gli adulti. A diciassette anni invece suonavo negli striptease e mi divertivo tanto, sicuramente lo preferivo alla filarmonica.

Qui in Italia sei un artista molto apprezzato, ti piace il nostro Paese?

Io solo a nominare l’Italia sorrido, mi piace tantissimo e ho sempre pensato che nascere e vivere in questo Paese sia una gran bella fortuna, è come vincere alla lotteria. << Italia, eh? Non ti fa sorridere subito??>>

Hai anche collaborato con molti aristi nostrani, ma svelaci qual è il tuo preferito.

Adoro Carmen Consoli.

Mentre lavoravo  per il film“ I giorni dell’abbandono“, Roberto mi ha chiesto di realizzare anche una canzone ed ho subito pensato a lei, mentre io lavoravo sulla musica lei scriveva un po’ di parole, ed è stato semplice.

Subito dopo l’ho chiamata anche per “Karmen with a happy end”

ed ha scritto “Focu di raggia” prima in italiano, ma non ci convinceva molto perché la melodia della canzone era semplice ed ha pensato di tradurla in dialetto siciliano, io ho accettato subito anche perché c’è una sceneggiatura di questo disco che già immagino di girare in Sicilia, tra i gitani che vivono lì.

Mi piacciono e mi emozionano molto due canzoni “AUSENCIA” E “ RUZICA” me ne parli?

La prima significa  assenza. E’ un tango che prima ho scritto come  pezzo strumentale per una scena di Underground (la scena del ragazzo nell’acqua) , era senza tempo, esisteva solo un movimento di orchestra, poi un giorno ho suonato la melodia al mio direttore e mi ha chiesto di fare una canzone, così ho chiamato Cesarea Evora.  

A lei piacevano le mie musiche già dal “Tempo dei gitani”, ed è venuta da Capoverde, sai lei è un po’ come le nostre nonne, si doveva togliere le scarpe perché le si gonfiavano i piedi: mi piace il suo stile, e pensa che canta il minimo necessario, non come altri che prima di un’esibizione provano ore ed ore, i migliori gitani cantano  come lei.

Ruzica è una canzone molto famosa nel mio paese, è una semplice canzone d’amore, Runica significa Rosellina e il ritornello dice: “Dio mio da e poi lo riprende, sei stata una Rosellina e adesso non lo sei più”.

A proposito di Dio, sei credente?

Io non sono facile da organizzare in nessun contesto, e credo che quelli che non hanno una parte metafisica (intendo religiosa) siano in manicomio,  ma quando si prega tutti insieme la cosa che ci unisce in moschea  o in chiesa o in sinagoga è che noi entriamo con uno sguardo al passato per poi uscire con uno sguardo sul futuro, questo è il terreno che abbiamo tutti e tre insieme. Poi io vengo da una famiglia di comunisti, quindi non avevo i contatti con la Chiesa, quando studiavo filosofia il mio unico contatto con la Chiesa era un mio compagno di studi che era già laureato in teologia, ed era interessante. Ma i primi contatti che ho avuto con la Chiesa, sono stati quando  il Papa Woityla ha chiesto perdono per i peccati commessi dalla Chiesa cattolica nel periodo delle Crociate, per quell’occasione io insieme ad Oliviero Toscani abbiamo avuto il compito di installare alcune video ed immagini, io ho lavorato sulle musiche, durante la celebrazione mi sono ritrovato in momenti molto religiosi per via di tutta quella gente che era insieme e pregava;  a tratti mi chiedevo “Se Dio non è qui, allora dove dovrebbe essere?”

Hai lavorato molto per il cinema.

Io ho lavorato per i film, solo nei quattro anni della guerra, e tutti i miei film li ho fatti in quel periodo ,  lo facevo perché avevo bisogno di soldi, considera che  ho perso tutto in un giorno quando è iniziata la guerra.

Mi ero trasferito a Parigi e dovevo riguadagnare la vita ed accettavo tutto, facevo anche le pubblicità per profumi, per margarine, per olio, ci sono tante pubblicità che ho fatto , ad esempio quelle dei profumi di Paco Rabanne, poi mi sono fermato. Da giovane pensi di avere il tempo di esplodere molte volte, ma a cinquant’anni capisci che la vita è corta e che se sei fortunato esplodi solo una volta.

Comunque ora non ci sono dei buoni film, prima di vedere un buon film devi andare al cinema cento volte. C’è un pittore concettualista di Sarajevo e mi ha raccontato una storia : c’erano due pittori che vivevano nelle loro case in un bosco e lavoravano, un giorno il re aveva cacciato in questo bosco e perse il suo cane e per cercare il suo cane entrò nella casa di uno di loro, questa era la casa di Leonardo da Vinci, il nome  dell’altro pittore dell’altra casa non si sa perché il re non è entrato. E’ un po’ come il destino dei compositori dei film, tu puoi fare la migliore musica del mondo, per un film di cui poi non se ne farà niente.

Ti piace leggere?

Non leggo più, a parte quando esce il libro di qualche amico che devo leggere per forza, considera che io ho studiato filosofia e quindi tutto quello che dovevo leggere l’ho letto.

Ma ti racconto una storia: quando ho fatto il primo concerto a Buenos Aires, sono arrivato in albergo e in reception c’era una lettera per me, ho aperto la busta e  dentro c’era uno dei miei libri preferiti: Alejandra di Ernesto Sabato con una lettera dello scrittore che si scusava con me, perché per via dei suoi novant’anni non sarebbe venuto al mio concerto, ma mi ringraziava molto per averlo salvato in alcuni suoi momenti di depressione, ed io ho scritto una lettera a lui dicendogli che quando io facevo il soldato militare, al tempo dei comunisti, in quel tempo tutti rubavano tutto, e quando io sono arrivato nella biblioteca della caserma non c’erano più libri, a parte quelli di Lenin, di Marx e Tito che nessuno voleva leggere, insieme a questi c’erano stranamente  anche libri di autori sudamericani che non erano diventati ancora famosi e che quindi nessuno rubava, tra questi ho trovato questo libro, e quando ho finito il militare l’ho rubato e me lo sono portato a Sarajevo, poi la guerra è iniziata ed io ho perso la mia biblioteca, così pensavo che nella vita ci si può rifare, ma non potevo di certo fare due volte la libreria, mi sembrava impossibile  (ridiamo) … Beh, quando ho visto il suo libro in albergo è stato un segno : “Rifai la biblioteca!!“, e da quel giorno ho iniziato a comprare un po’ i vecchi libri persi per via della guerra.

Usi vestirti spesso di bianco. C’è un motivo particolare?

Sempre. Il bianco è un po’ fashion, tra i capi delle bande gitane, del tipo “Io sono un po’ più elegante degli altri” e poi mi da di più l’idea della festa.  Perché per me suonare è una festa. Se mi chiedi cosa voglio fare alle nove di sera, io ti rispondo “suonare con la mia band sul palcoscenico”, perché io mi diverto, mi diverto a suonare con loro, e poi il palcoscenico è il posto più adatto per bere, io bevo solo sul palcoscenico.


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