Avere vent’anni: BURZUM – Filosofem

Creato il 29 gennaio 2016 da Cicciorusso

Questo è uno dei cinque dischi che mi porterei su un’isola deserta. Ho comprato la chitarra elettrica per avere la soddisfazione di suonare Jesus’ Tod, ma poi quella faccenda è finita male. C’è stato un periodo in cui sostenevo fermamente che la storia della musica, a partire dal primo bastone battuto sul primo tronco, avesse un’andamento finalistico che culminava in Filosofem, il quale rappresentava dunque la meta ultima della musica, quindi la sua stessa ragion d’essere. È chiaro che messa giù così è una puttanata, ma è un modo come un altro per esprimere la definita compiutezza di Filosofem, quinta uscita a nome Burzum, ultima a essere suonata con strumenti tradizionali prima del ritorno sulle scene con Belus.

Di sicuro Filosofem rappresenta il punto d’arrivo di un certo tipo di intendere il black metal, o meglio di un lato specifico del black metal. Considerato che è stato composto e registrato praticamente insieme agli altri quattro album, tra il gennaio 1992 e il marzo 1993, ci sarebbe anche da parlare di che razza di genio compositivo fosse Vikernes all’epoca. In Filosofem ha riassunto la sua poetica e il suo immaginario, sublimando la tendenza atmosferica del suo black metal tanto da renderlo praticamente un disco ambient. I successivi Daudi Baldrs e Hlidskjalf, un po’ per scelta un po’ per mancanza di alternative, sono suonati solo con tastiera e sintetizzatore, ma non differiscono poi così tanto da Filosofem, come concetto.

Filosofem è il suono della solitudine dell’uomo. Non c’è niente della ferocia e della furia iconoclasta del black metal primigenio; anzi, se c’è qualcosa che qui manca davvero è l’iconoclastia. C’è al contrario un senso di pace, interiore ed esteriore, proprio della serenità dell’uomo che si estrania dal mondo e rivolge il suo sguardo verso sé stesso e verso quella parte di realtà che di solito il mondo trascura, oltre quella siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ed è proprio questo il senso ultimo dell’album: perdersi nell’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. È un album panico perché tende a una fusione totale con la Natura, una matrigna indifferente, più che crudele, impossibile da comprendere appieno se non trasfondendocisi. Non c’è altro uomo che il sé stesso, completamente solo e annullato nell’indifferente ciclo della Vita e della Morte. E tutto è ammantato da un senso di putrefazione, una cappa opprimente che trasmette un rassegnato senso di ineluttabilità. In Filosofem la Natura non è venerata o lodata: è semplicemente osservata.

I tre pezzi iniziali sono quelli strutturati più classicamente. Addirittura pare che Dunkelheit sia la prima cosa mai composta da Vikernes. In Jesus’ Tod c’è il doppio pedale per tutto il tempo, ma la cosa non influisce minimamente sull’atmosfera dell’album perché, anche grazie ai suoni da scantinato, l’effetto ipnotico rimane inalterato. La seconda parte del disco ha i tempi estremamente dilatati e mostra in modo più immediato l’impostazione e l’intento ambient; e questo vale tanto per le due Decrepitude quanto per l’impronunciabile Rundtgaing av den Transcendentale ege Nhetens Stotte, venticinque minuti di lentissimi giri di tastiera che solo Burzum poteva far diventare una cosa credibile.

I testi meriterebbero un capitolo a parte. Tutto quanto detto finora sul lato musicale può essere riferito parola per parola ai testi. È incredibile come Vikernes sia passato nel giro di pochi mesi dal pubblicare i testi del primo disco a quelli di Filosofem. Questa è un’altra dimostrazione di come lui avesse già tutto molto chiaro nella sua testa quando iniziò a registrare i primi cinque album: probabilmente aveva già in mente l’evoluzione da seguire e i modi per perseguirla. Chiunque altro ci avrebbe messo molti anni per passare da Burzum a Filosofem; lui ha composto e registrato tutto quasi simultaneamente.

Inoltre, Filosofem è il disco che da sempre metto per addormentarmi. Sin da ragazzino, quando proprio non riesco a prendere sonno, metto su Filosofem e, invariabilmente, dormo. Anche per questo su un’isola deserta non potrei davvero farne a meno.