Avere vent’anni – gennaio 1995

Creato il 31 gennaio 2015 da Cicciorusso

Il 1995 era vent’anni fa. Per noi di Metal Skunk, quasi tutti abbondantemente trentenni, questo numero ha pesanti risvolti simbolici perché fu proprio in quel periodo, anno più anno meno, che cominciammo ad ascoltare il metallo. Quindi è grossomodo vent’anni che siamo metallari. Respiro profondo. Per celebrare la cosa, o per metabolizzarla meglio, inauguriamo quindi questa nuova rubrica chiamata AVERE VENT’ANNI in cui, a cadenza mensile, scriveremo due righe sui dischi usciti nello stesso mese di vent’anni prima. Quelli che vedete qui sotto sono tutti usciti nel gennaio 1995, il mese prossimo quelli di febbraio 1995, eccetera. Recensiremo solo ciò che ci andrà di fare, senza sentirci in obbligo verso veri o presunti classici a cui, per un motivo o un altro, non ci sentiamo affettivamente legati. Perché quello che muove l’intera operazione alla fine è l’affetto, e la celebrazione di ciò che ci ha resi ciò che siamo. (Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)

ELECTRIC WIZARDst

Stefano Greco: L’esordio degli Electric Wizard all’epoca si fece notare principalmente per due motivi: il monicker ultrasabbathiano (un po’ scontato, a dirla tutta) e la bellissima copertina disegnata da Dave Patchett (il favoloso artista grafico utilizzato dai Cathedral ancora oggi). L’album non mi fece particolare impressione, tanto che mi sarei riavvicinato alla band solo parecchio tempo dopo. Si tratta di un disco di doom classico senza particolari sussulti, in cui comunque sono già presenti tutti gli elementi che avrebbero poi definito il loro sound: riffoni, psichedelia acida e una sorta di malato ennui. Ciò che manca è l’esasperazione, quella componente essenziale che, innestata su questa base, li avrebbe poi resi inarrivabili. Gli Electric Wizard non sono mai stati un gruppo complesso; sono la confezione eccessiva e le scelte di produzione estreme ad aver reso ostici album che, alla fine, sono costruiti intorno a brani dalla struttura classica (verse/chorus/verse), sebbene un po’ allungata. Tutta roba che nell’esordio ancora mancava, ma sarebbe arrivata di lì a breve.

SENTENCEDAmok

Trainspotting: I Sentenced hanno fatto benissimo a sciogliersi. Nella nostra memoria rimarranno per sempre una fulgida stella bianca e accecante nel cielo del Nord, l’aurora boreale che ti parla e ti legge dentro, l’ultimo pertugio dell’anima in cui rifugiarsi nei momenti bui, uno spirito affine a cui affidarsi quando hai bisogno di solitudine, silenzio, e oblio. I Sentenced successivi rimangono migliori, ma Amok ha un respiro molto più ampio. In questo senso il problema di questo disco è contenere una cosa così enorme, definitiva, paradigmatica come Nepenthe; tutto il resto passa in secondo piano, e quasi non rifletti sul fatto che un disco che suona come Amok non era mai stato fatto prima e non sarà neanche mai più fatto dopo.

BLUT AUS NORDUltima Thulée

Charles: Quella tra Vindsval e W. D. Feld è, probabilmente, la collaborazione artistica, ancora attiva, più longeva e feconda di tutto il panorama black metal francese. Dalla metà degli anni ’90 ad oggi, i due avranno pubblicato qualcosa come 16 tra full-length ed EP, si diceva a proposito dell’ultimo album. La corposa produzione di Vindsval iniziò, dunque, proprio in quell’anno in un modo direi molto convincente, con un suono sporcato di elementi ambient ma pur sempre riconducibile alla scuola norvegese. Nella Francia dei primi ’90, il dominio della scena black metal underground era in mano ai membri delle cosiddette Légions Noires, da Vlad Tepes ai Mütiilation, che sfornavano demo su demo, grezze, violente e prodotte con mezzi scarsissimi (come avrei avuto modo di scoprire in seguito), e alle one man band da cantina, che faceva fico conoscere e declamare agli amici metallari ma che nessuno (me compreso) aveva realmente ascoltato. Ricordo che il nome di Ultima Thulée cominciò a girare con maggiore frequenza qualche tempo dopo l’uscita del disco successivo, Memoria Vetusta I, perché forse, vista l’ottima riuscita di quest’ultimo, meritava di essere recuperato. Ed era vero.

BELPHEGORThe Last Supper

Trainspotting: Un mischione di death e black di prima e seconda generazione, urla, bestemmie  e conati di vomito: nel trucidissimo The Last Supper si trova un po’ di tutto, quantomeno tutto quello che si possa associare ai disturbi intestinali e alla sbronza di Tavernello presa a male, senza alcun criterio logico particolare che non sia legato alla massima “in una società che obbliga all’eccellenza, fare schifo è un preciso dovere morale”. The Last Supper è il sapore del rigurgito dello Jagermeister scaduto che ti sei appena scolato da solo, coi pezzettoni di cibo che ti risalgono in bocca; è il momento preciso in cui tocchi il fondo della sbronza e ti parte l’embolo contro il primo che ti si rivolge male; è il ghigno storto e maligno dell’ubriaco seduto per strada accanto a una pozza del proprio vomito, senza alcuna dignità, col cuore traboccante di odio, che odia tutti perché odia sé stesso. Per questo i primi Belphegor sono uno dei gruppi che sentiamo come più nostro, anche se purtroppo in seguito hanno imparato a suonare; rimanendo però nelle nostre simpatie grazie all’estetica basata su caproni, maschere antigas, suore nude e insulti a Gesù Cristo. Da segnalare una cover di Sabbath Bloody Sabbath registrata probabilmente in preda al più nefasto hangover di sempre.

FU MANCHUDaredevil

Enrico Mantovano: Ho sempre pensato che, se la sigla di Baywatch fosse stata composta dai Fu Manchu anziché dai Survivor, la mia adolescenza ne avrebbe giovato in modo esponenziale. Daredevil inaugura l’annus mirabilis dello stoner rock con undici tracce semplicemente irresistibili, ideale colonna sonora per frenetiche scorribande su moto d’acqua truccate e approfondite analisi di bikini esplosivi. Scott Hill & co. mischiano il punk furioso degli Stooges e l’anima desertica dei Kyuss, tirando fuori quello che a conti fatti rimane uno dei loro lavori più riusciti: immaginate quanto sarebbe stato maledettamente epico vedere Mitch Buchannon che corre in mezzo ai flutti sulle note di Coyote Duster?


EXTREME NOISE TERROR - Retro-bution

Il Messicano: Nel 1995 questi si svegliano e decidono essenzialmente di registrare nuovamente il loro storico e seminale debutto capolavoro uscito sedici anni prima, A Holocaust in Your Head (cosa che avevano già fatto nel ’91, tra l’altro). Firmano per la Earache per questa uscita e “metallizzano” il loro suono. Ovviamente si prendono vagonate di merda da tutti i loro fans storici del giro crust, gente piena di pidocchi con la dentatura a pianoforte, che si accoppia con i cani e col vizietto simpatico di farsi le pere nel buco del culo. Concettualmente è un’operazione “commerciale”, se vogliamo, e gli insulti per certi aspetti erano anche meritati, ma boh, cazzo vi devo dire? A me Retro-Bution alla fine non dispiace. Dopo qualche media e tre o quattro cuba libre non mi dispiacciono nemmeno le budellone con la panza e qualcuna l’ho anche infiocinata, anche se non l’ho detto troppo in giro. Ora che ci penso, però, l’ho scritto qui e ho scritto pure che non mi dispiace ‘sto disco. E vabbè, dai, nessuno è perfetto. E poi nella lista degli album usciti a gennaio ’95 questo era il meno peggio tra quelli rimasti da trattare. Comunque ‘sta storia che dobbiamo per forza recensire dischi usciti sì vent’anni fa, ma pure nello stesso mese in corso nel 2015, a me onestamente sta proprio sui coglioni.  Nel senso che è proprio un’idea di merda. Potevamo fare semplicemente una serie di dischi, ogni fine del mese, usciti vent’anni fa ma non nel mese preciso della merda, ma semplicemente del ’95. Vorrei scrivere un paio di bestemmie, ma mi trattengo se no ci segnalate alla sbirranza e ci fate arrestare e malmenare.  Saluto tutti quelli che mi conoscono.



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