Da un punto di vista compositivo Mellon Collie è un disco di frammenti, dicevamo, perché ci sono molte, troppe canzoni, massimamente disomogenee tra loro, tanto da rendere quantomeno faticoso l’ascolto del disco intero. Di sicuro non c’è motivo per ascoltarlo tutto di fila; non è stato concepito per questo, e basta farlo una volta sola per rendersi conto dell’insensatezza della cosa. Questa sua caratteristica è intimamente legata alla personalità ambivalente di Billy Corgan, che da un lato possiede una sensibilità profonda e delicata e dall’altro cova un astio profondo verso sé stesso e il mondo circostante sintomo di una personalità autodistruttiva e sinceramente misantropica (con punte di purissima misoginia come raramente si erano mai viste); una pulsione di morte esplicata perfettamente anche da certi accostamenti nella scaletta: soprattutto per come i due singoloni 1979 e Tonight Tonight sono seguiti dai pezzi più rumorosi e nonsense dell’intero album, e forse dell’intera carriera degli Smashing Pumpkins, almeno fino a quel momento.
È un album fondato su un sottilissimo equilibrio, frutto dell’ego ipertrofico di Corgan, sommerso da barocchismi e ingenuità e che probabilmente in mano a qualsiasi altro sarebbe stato una porcata immonda. Non riuscirei a immaginare una Porcelina of the Vast Oceans suonata da altri, ad esempio; magari Zero o Bullet with Butterfly Wings sì, ma resta il fatto che sono pezzi che chiunque altro avrebbe inserito in un contesto più omogeneo, mentre qui sono incastrati tra composizioni che sembrano uscire da periodi completamente diversi nell’evoluzione e nel mood di un gruppo; sembrano, appunto, perché in realtà sono state chiaramente composte tutte insieme. L’equilibrio si spezzerà immediatamente dopo, e Billy Corgan finirà fagocitato dalla sua stessa prolificità (che ha parecchia assonanza con prolissità) e dal suo cieco odio autodistruttivo, finendo col cacciare tutti, poi riprenderseli, poi ricacciarli, facendo dischi che sarebbe meglio non avesse fatto, e diventando per qualche motivo che io non comprendo un idolo assoluto per gente messa malissimo che ha continuato a seguirlo in ognuna delle sue innumerevoli uscite discografiche. Perché Billy Corgan non c’è mai stato troppo bene con la testa, ma i suoi fan estremisti stanno addirittura peggio di lui.
Infine, il titolo. Melancholy and the Infinite Sadness. L’ho capito tardissimo il gioco di parole. Il senso ultimo dell’album è nel suo titolo: la malinconia, e la tristezza cosmica che ne deriva. Per questo si avvinghia ai tuoi ricordi, per questo ogni volta che lo senti riesci quasi a provare di nuovo l’odore, il sapore, i colori di un qualcosa che associ a questa o a quella canzone. Mellon Collie è la nostalgia, il malessere rassegnato e astioso associato alla consapevolezza che quello che è stato non sarà mai più, e l’odio per ciò che ti circonda – perché non è e non può essere ciò che è stato. I miei coetanei sono fortunatissimi ad aver amato Mellon Collie durante l’adolescenza, non solo perché è uno dei dischi più belli degli anni novanta, ma soprattutto perché non può esserci disco migliore per ripensare ai bei vecchi tempi. Oltre al fatto che i testi, contestualizzati intorno alla personalità di Corgan, sono tra i più vividi e potenti che abbia mai letto; ad esempio in Bodies, forse la mia preferita dell’album, c’è una delle massime che ha maggiormente segnato la mia vita e quella di tanti altri come me:
love is suicide
che appunto detta da qualcun altro, in qualche altro contesto, sarebbe potuta essere una cosa stucchevole e idiota stile Baci Perugina al contrario, mentre inserita in un disco del genere viene impreziosita da tutto quello che c’è prima e dopo; come quei concetti che possono essere banali o geniali a seconda di chi lo dice, come lo dice, quando lo dice e così via. E ancora: in Ugly, una delle tante b-side dei CINQUE singoli tratti dall’album (raccolti in un cofanetto di cui ho parlato qui e da cui segnaliamo quantomeno la splendida The Boy), Corgan parla del fatto di essere brutto; e riesce a farlo in modo disturbante e sinistro, con il vittimismo di facciata che diventa odio e voglia di far esplodere il mondo con te sopra. O l’amarissima Love, che comincia emblematicamente con la frase to my mistakes of cowardice e continua vomitando bile verso il mondo femminile e ancora di più verso il mondo maschile, che ci casca ogni volta. Billy Corgan è uno di noi, lo è sempre stato, per quanto probabilmente se ci conoscesse ci odierebbe al pari degli altri. Noi però non possiamo che essergli grati per aver dato forma e parole a sensazioni che non avremmo mai saputo da che parte cominciare a descrivere, e che tuttora non riusciamo a descrivere senza usare le sue stesse parole. Grazie Billy, davvero, anche se ci faresti saltare in aria insieme a te stesso e al mondo. (Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)