Avere vent’anni: VOIVOD – Negatron

Creato il 27 gennaio 2016 da Cicciorusso

Quando si parla dei Voivod di solito si tende a ricordare, a seconda dei gusti, l’allucinata e personalissima reinterpretazione del thrash dalla quale sorsero pietre miliari come Killing Technology e Dimension Hatross o le oblique sperimentazioni a cavallo tra hardcore e progressive rock di Nothingface e Angel Rat. Mai è stata resa adeguata giustizia al periodo immediatamente successivo alla reunion del ’95, quando il gruppo tornò sulle scene con un sound rinnovato alla radice e, ancora una volta, sorprendentemente all’avanguardia.

Nel 1993 i canadesi si erano – di fatto – sciolti in seguito al flop commerciale dello splendido The Outer Limits, l’apice della loro fase prog. Due anni dopo si erano riformati come power trio, con il semisconosciuto Eric Forrest ad affiancare il batterista Michel “Away” Langevin e il compianto chitarrista Denis “Piggy” D’Amour. L’album del ritorno, Negatron, fu uno shock per molti fan. Delle ariose soluzioni psichedeliche che avevano fatto guadagnare alla band l’appellativo di “Pink Floyd dell’heavy metal” era rimasto ben poco. Al loro posto chitarre inaspettatamente aspre e pesanti, le urla laceranti di Forrest, trame ritmiche intricate e opprimenti, un suono claustrofobico e violentissimo, che a volte si concedeva scorribande in territori noise/industrial (si veda D.N.A., nata da una collaborazione con Foetus). All’epoca ci fu chi parlò, con ingiustificabile superficialità, di “panterizzazione”. Se da una parte è vero che, dopo la lezione di Dimebag Darrell, nessun chitarrista heavy metal avrebbe mai più potuto suonare come prima, dall’altra è indiscutibile che i Voivod fossero davvero l’ultima band che si potesse accusare di rincorrere le mode. La chiave di lettura sta tutta in una parolina che all’epoca non faceva parte del bagaglio semantico del recensore metallaro standard: post-hardcore.

Bisognerà aspettare diversi anni, con l’esplosione del fenomeno Relapse, perchè certe sonorità fossero sdoganate presso il pubblico heavy generalista. Ma i Voivod, per loro stessa ammissione, erano sempre stati profondamente legati al panorama HC. Nulla di più lecito, quindi, che supporre che i canadesi avessero indurito e modernizzato la loro musica prendendo come spunto le innovazioni apportate al genere da formazioni come Botch, Earth Crisis e Neurosis (proprio i Neurosis se li sarebbero portati in tour alcuni anni più tardi; chi scrive ebbe la fortuna di assistere alla data romana), influenze che si faranno ancora più evidenti nel successivo Phobos. Ad ogni modo, Negatron resta soprattutto un ottimo album di metal evoluto, che continua a suonare 100% Voivod nella complessità strutturale dei pezzi, nelle atmosfere stranianti e psicotiche e nell’inconfondibile riffing di Piggy, che scolpisce brani indimenticabili come la terremotante opener Insect, la soffocante title-track e la spettacolare Nanoman, un incubo distopico che è sic et simpliciter tra i brani migliori mai partoriti dal genio di D’Amour.

Come va a finire lo saprete. Dopo Kronik (un’estemporanea raccolta con un paio di inediti) e un live, Forrest viene allontanato nel 2000 per lasciar posto al figliol prodigo Snake e a un Jason Newsted transfuga dai Metallica. Il lavoro che ne viene fuori, intitolato semplicemente Voivod, riprende il discorso esattamente da dove era stato interrotto con The Outer Limits e viene, come al solito, acclamato dalla critica e pressochè ignorato dal pubblico. Da fan sfegatato della band, trovai il disco freddo e scolastico (paradossalmente ho apprezzato molto di più i successivi Katorz e Infini, assemblati con il materiale lasciato in eredità da Piggy, stroncato da un tumore nel 2005) e non riuscii mai a comprendere i motivi di una simile retromarcia. Proprio mentre la fusione tra metal e hardcore evoluto raggiungeva inattese vette creative e commerciali, la band che era riuscita ad anticipare questa tendenza di anni sceglieva di tornare al passato. Il miracoloso Target Earth, vera resurrezione dei Voivod, ha in qualche modo chiuso il cerchio ma ogni tanto continuo a domandarmi cosa sarebbe potuto accadere se, poniamo, nel 2002 fosse uscito un nuovo Phobos. (Ciccio Russo)