Avrebbe dovuto essere un commento

Creato il 11 novembre 2012 da Unarosaverde

Il blog di esercizidipensiero e’ stato uno dei primi che ho scoperto quando ho aperto il mio, qui su wordpress. E’ uno di quelli che leggo sempre, anche se in perenne ritardo, perché di questi tempi sono di corsa e recupero solo la domenica le fila delle mie abitudini.  Ho conosciuto l’autrice e mi piacerebbe avere la possibilita’ di rivederla perche’ è una persona con cui mi sono confrontata volentieri e lo farei ancora. E’ difficile trovare qualcuno con cui analizzare punti di vista diversi facendolo con le regole cavalleresche del gioco. E poi mi piace come scrive, trovo che di post in post migliori il modo in cui comunica se stessa, senza essere mai scontata.

Stamattina sono passata dalle sue parti e ho letto i post più recenti e i commenti e, per qualche strano meccanismo, mi sono soffermata su uno di essi a pensare ed è venuta voglia di commentare a me pure ma il commento si faceva lungo lungo, troppo lungo, e allora è diventato questo post, scritto come se fosse appunto un commento ma riposizionato qui, dove non usurpa spazio alle parole dell’autrice e rimane confinato tra i miei pensieri.

Sono figlia e nipote di insegnanti: a casa mia c’e’ stato un tempo in cui il 90% del parentame era in cattedra, nelle scuole di ogni ordine e grado. Ci sono stata anche io un anno in cattedra, mentre mi stavo laureando, per essere sicura che non stavo facendo errori a scegliere l’azienda; mi capita a volte ancora di insegnare, gratis, ai ragazzi che mi dicono: “sono senza speranza”.

E allora non insegno la materia, insegno ad imparare perche’ so come ci si sente, perché a me lo hanno spiegato, a casa, a volte a scuola – ma soprattutto a casa – come si fa, ad imparare perche’ la scuola esiste solo per qualche anno poi per il resto della tua vita sei da solo e devi scegliere se vuoi fermarti a quello che ti hanno spiegato fino alle medie o all’universita’ o vuoi proseguire e se prosegui devi essere capace di andare avanti in modo autonomo. Ho pensato se fare o non fare il concorso: non ho molto tempo libero per prepararlo ma potrebbe essere un’alternativa per il futuro perche’ si dimezzerebbe lo stipendio ma anche il tempo di lavoro.

Lo so che chi insegna protesta e dice che non e’ vero e che non si lavora solo 18 o 20 ore perche’ poi c’ e’ da preparare le lezioni, da aggiornarsi, le riunioni, i compiti da correggere. Pero’ queste cose, per la maggior parte, si possono fare a casa, secondo i propri ritmi; chi lavora in altri settori se ne sta fuori dieci, dodici ore al giorno e quando esce i negozi sono chiusi, il buio e’ calato, gli asili costano, i nonni non sempre ci sono, la spesa la si fa di sabato o domenica, le visite mediche sempre utilizzando le ferie e si dice “sissignore” perche’ si lavora sotto padrone. Devi essere sicuro che vuoi dire “sissignore” per 40 anni anche quando non ci credi, non sei d’accordo, e’ ingiusto.  A scuola il signore è l’insegnante e deve farsi capace di essere signore, illuminato ma regnante.

Non ho rimpianti, dicevo, perche’ anche se mi piace spiegare, fornire le chiavi di acceso alla comprensione, mi ricordo che su piu’ di 70 ragazzi tra i 16 e i 17 anni forse 5 stavano ad ascoltare, gli altri erano seduti dietro quei banchi come se fossero in transito, tra altre occupazioni e interessi, gli occhi spenti, la testa altrove. E poi ai colloqui arrivava la madre ubriaca di uno e alzava la voce, il padre di un altro a chiedere severita’ e se non basta ci penso io a castigarlo e dopo il castigo spariva di nuovo e ritornava a castigare al colloquio successivo e per il resto del tempo solo chiedeva “haifattoicompiti?” senza mai verificare o aiutare, la madre di un altro ancora a dire che il suo bambino  sedicenne studiava tutto il giorno mentre lei e il marito erano al lavoro e lui a casa da solo così bravo,così responsabile e perchè me lo bocciate e invece io lo vedevo nei bar del paese, e poi c’era quella arresa che confessava disperata che non sapeva proprio più cosa fare per suo figlio, che non la ascoltava mai ed era sempre in giro a fare cosa non si sa aiutatemi voi, e il ragazzino che ogni mese si metteva in tasca seicento euro, un po’ dal papà, un po’ dalla mamma, separati e in guerra, poi dalla nonna e dall’altra nonna e cosa te ne fai di tutti questi soldi li metti via per il motorino di sicuro ah no, te li spendi tutti in tante cose tanto il mese dopo te ne danno altri e spegnete il cellulare per favore…e mi viene in mente la fatica emotiva di quell’anno e il successo per aver catturato l’attenzione di uno che si era dato per fallito e messo insieme tutto no, niente concorso, resto tra i miei numeri e i miei materiali, ci ripenso tra qualche anno.

E poi, alla fine, ho ricordato me stessa da studente circondata da professori in gamba e da gente vergognosamente impreparata e incapace: io studiavo per due ragioni. La prima era quella di ottenere da loro un volto alto, perché la scuola in Italia e nel resto del mondo funziona che con i voti alti non hai problemi, anche se ti sei imparato tutto a memoria e non hai capito un tubo mentre con quelli bassi sono rogne. La seconda era che studiavo per me stessa, non per gli insegnanti o per la scuola, nonostante gli scioperi, le proteste, le aule fatiscenti, i traslochi di sede in sede, il materiale inesistente, quelli che ci davano del lei e parlavano ai muri perche’ nessuno li stava a sentire, quelli che regalavano indizi per seguire le strade dei libri…avrei potuto avere il caos intorno ma ho sempre pensato che fossi io sola la responsabile della mia educazione e gli insegnanti compagni di strada se ne avevano voglia altrimenti pace, mi sarei arrangiata…E poi i miei a scuola ci sono andati sempre, anche se ritenevano le leggi ingiuste, gli stipendi poco adeguati, le condizioni pessime, anche se stavano male; entravano in aula anche quando l’aula era quasi vuota e facevano quello che sapevano fare: trasmettere conoscenza. E mia madre restava alzata fino a dopo mezzanotte a correggere pacchi e pacchi di temi, di verifiche, per un tema anche un’ora ci passava perché ogni ragazzo, anche quelli meno dotati, meritava, per la sua prova, ascolto e risposte. E gli insegnanti che facevano così con me io li ricordo con gratitudine tutti, uno per uno, e disprezzo, come allora, quelli che regalavano gli otto, quelli che aprivano il giornale nelle ore di lezione, quelli che non si presentavano mai se appena appena c’era la voce di uno sciopero di qualunque sindacato, quelli che facevano politica in aula,quelli che non si ricordavano nemmeno come ci chiamavamo, quelli che insegnare era un lavoro di ripiego perché non avevano trovato di meglio, quelli di intelligenza poca e risorse caratteriali anche meno, quelli maleducati, quelli che rubavano il posto a chi insegnare lo ha scelto, per passione, e ancora resiste, nonostante tutto.

E poi penso che, se avessi un figlio, a scuola non so se lo manderei, ne’ pubblica ne’ privata. Forse sceglierei qualche insegnante di quelli innamorati dell’insegnare – li riconosci da come si illuminano loro gli occhi mentre spiegano – che, in ciabatte a casa propria, ogni tanto avesse voglia di arrotondare lo stipendio, qualche aio moderno per le materie piu’ difficili, e poi me lo porterei in giro a fare due passi nel bosco, il mio improbabile figlio, e, a casa, mi siederei con lui davanti ad un libro di scienze per dare un nome alle cose e ai processi che ha visto, e gli leggerei una storia dopo la merenda e mi fermerei a meta’ e gli direi inventalo tu un seguito, scrivilo sul quaderno, vediamo come ti viene che poi lo mettiamo in ordine e ci facciamo il tuo libriccino, col computer, certo che usiamo anche il computer, e gli facciamo i titoli belli e il carattere tipografico, dai che andiamo a vedere sul dizionario cosa vuol dire tipografico e poi sabato ti porto al museo della stampa così capisci bene.

E la matematica di base si impara anche con le monetine del portafoglio, e le lingue straniere con il figlio dei vicini che vengono da lontano e la musica con un flauto dolce da poche lire … insomma, io gli darei le chiavi, come le hanno date a me, per quello che so, per capire il mondo e gli darei lo sport e l’impegno in un gruppo di volontariato, per imparare a seguire le regole e a convivere con gli altri, non una gita scolastica e aule affollate di rumori di fondo e ragazzi sperduti in cui i versi delle poesie non li ascolta piu’ nessuno.

Fortuna che non ho un figlio: ne farei un disadattato, come sono stata io, per anni. Come ancora, probabilmente, sono.


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