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Avviate le forniture del gasdotto North Stream: quale futuro per la politica energetica nell'UE ?

Creato il 14 novembre 2011 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Antonio Scarazzini

A poco più di due mesi dall’inaugurazione ufficiale avvenuta il 6 settembre nella cittadina russa di Vyborg, il gasdotto gestito e costruito dal consorzio North Stream ha avviato lo scorso 8 novembre la fornitura di gas metano all’Europa. Alla cerimonia hanno preso parte, oltre al Presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedev, la cancelliera tedesca Angela Merkel, i Primi Ministri di Francia ed Olanda Francois Fillon e Mark Rutte, il Commissario europeo all’Energia Gunther Oettinger. L’evento, che ha accolto l’attivazione della prima delle due pipelines progettate, ha avuto luogo a Lubmin, cittadina tedesca a poca distanza dal confine polacco in cui è situato l’hubdi snodo della conduttura proveniente dal Mar Baltico, ed è coinciso con l’avvio dell’attività del primo dei tre grandi progetti che, unitamente a South Stream e Nabucco, stanno catalizzando il futuro della relazioni energetiche tra Russia ed Unione Europea.

Avviate le forniture del gasdotto North Stream: quale futuro per la politica energetica nell'UE ?

Percorso di North Stream

Vyborg– Lubmin: la rotta di North Stream[1]

Inizia nel 1997 con i primi studi di fattibilità la storia di North Stream, il gasdotto che nei piani di Gazprom ed Unione Europea avrebbe dovuto rinsaldare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici europei: una coppia di pipelines parallele avrebbe attraversato per oltre 1224 Km le acque del Mar Baltico, dalla costa russa di Vyborg a quella tedesca di Lubmin, bypassando Paesi come Polonia ed Ucraina che più di una volta si sono visti coinvolti in crisi energetiche con il colosso di sovietica memoria. Un progetto il cui valore è stato stimato in 7,4 miliardi di euro, sostenuto per il 30% dagli azionisti della joint venture North Stream AG, costituita nel 2005 per poter avviare la fase di pianificazione logistica: finanziata tramite prestiti e linee di credito ottenute presso un complesso di 26 istituti bancari, la Fase I – valutata in 3,9 miliardi di euro – ha dato quindi il via nel settembre 2006 ad un progetto che nel 2000 fu inserito nella Trans-European Transport Network (TEN-T), la strategia di implementazione delle infrastrutture del trasporto emanata nel 2000 dalla Commissione Europea nel contesto della strategia di sviluppo e crescita presentata a Lisbona. E’ invece di 2,5 miliardi la valutazione della seconda fase, quella di vera e propria messa in opera, che tra marzo 2010 e giugno 2011 ha completato la prima linea di distribuzione: una volta a regime sarà di circa 27,5 i miliardi di metri cubi annuali (55 totali dopo l’attivazione della Linea2, i cui lavori sono iniziati lo scorso maggio per terminare nella seconda metà del 2012) la quantità di gas che giungerà in Europa grazia all’allacciamento con i preesistenti gasdotti tedeschi OPAL – NEL. Un supporto che va ad incrementare la quota di gas proveniente dalla Russia, segnatamente dalle reti Gazprom, che nelle stime di Eurogas (consorzio delle imprese del settore di UE e Svizzera) già prima fornivano il 23% delle importazioni di gas naturale per un volume di circa 125 miliardi di metri cubi; quantità che lo stesso commissario europeo all’energia conferma in crescita – tra il 14% ed il 23% secondo Eurogas – per far fronte ad una domanda di gas naturale che si prepara a sfondare il tetto dei 700 miliardi di metri cubi rispetto agli attuali 541.

Contrattia lungo termine e South Stream: la longa manus di Gazprom e Cremlino

La valenza strategica di questo gasdotto, rivoluzionario per la capacità di ridurre i costi (economici ma anche ambientali) grazie ad un percorso che va a toccare le sole Zone Economiche Esclusive di Svezia e Finlandia, si rispecchia anche nella composizione del consorzio presieduto dall’ex Cancelliere tedesco Gerard Schroeder: azionista di maggioranza con una quota del 51% è Gazprom, società controllata per il 40% dal Cremlino che convoglierà nelle pipelines il gas estratto nei siti di Yuzhno-Russkoye, Ob, Taz Bays, Shtokman e dalla penisola di Yamal. Una quota del 15,5% spetta ad entrambe le imprese tedesce coinvolte, Wintershall e E.On Ruhrgas mentre si attestano al 9% le partecipazioni dell’olandese Gasunie e della francese Gaz de France-Suez. Germania, Francia e Olanda, i tre Paesi che insieme a Italia (coinvolta con ENI nel consorzio South Stream e dipendente anche dal gas nordafricano) e Gran Bretagna (dotata di elevate riserve nazionali) stanno ai vertici delle graduatoria di consumo di gas e rientrano nel novero di coloro che già si sono legati a Gazprom tramite gli agognati contratti “formato take or pay” in cui il prezzo è legato all’acquisto obbligatorio di una quantità minima annua: è quasi un caso-limite il contratto stipulato[2]nel 2006 tra E.On e Gazprom di 24 miliardi di metri cubi annuali (di cui 4 provenienti propri da North Stream) nel periodo 2010-2036, garantendo la sicurezza degli approvvigionamenti energetici tedeschi rimessi in dubbio nello scorso maggio dalla scelta che porterà a chiudere tutte le centrali nucleari entro il 2022. Non fa eccezione la Francia[3], che nel dicembre dello stesso anno ha ceduto circa il 2% delle quote di mercato tramite accordo che prevede la fornitura North Stream di 2,5 miliardi di metri cubi annui, che si vanno a sommare ai 12 di un contratto in scadenza nel 2012 e già rinnovato sino al 2030. La stretta di Gazprom sui rifornimenti energetici all’Europa si prepara, inoltre, a rafforzarsi con South Stream, il secondo grande progetto in cui è coinvolto il colosso guidato da Alexei Miller: nato nel 2008 come joint-venture paritaria con l’italiana ENI, a partire dallo scorso 16 settembre South Stream ha assunto un respiro più ampio con l’ingresso nel consorzio della tedesca Wintershall, appartenente al gruppo BASF, e della francese Edf, che di fronte alla riduzione delle quote ENI al 20% si sono equamente spartite il restante 30%. Con costi che, in attesa di stime precise a metà 2012, si aggirano sui 15,5 miliardi di euro[4], il gasdotto dovrebbe attraversare Turchia ed Europa Orientale, trasportando gas naturale per circa 63 miliardi di metri cubi annui, verosimilmente attraversogli hubdi Otranto e dallo snodo austriaco di Baumgartner  controllato dalla OMV, legata al consorzio da accordi bilaterali come quelli stipulati anche dalla serba Srbijagas, dalla greca DESFA, dalla bulgara EAD nonché dall’Hungarian Development Bank. L’obiettivo comune dei due progetti è chiaro: escludere dalle rotte del gas russo verso l’Europa Paesi come Ucraina e Polonia, attraversati dai gasdotti preesistenti e opposti a Mosca in una lotta sull’abbattimento dei prezzi delle forniture: l’eco delle crisi ucraine del 2006 e 2009 riporta sino all’attualità la criticità legata agli alti prezzi applicati da Gazprom sul gas esportato nel mercato unico europeo, e spiega la necessità del colosso russo dismarcarsi da qualsivoglia impedimento nella sua penetrazione nel tessuto economico europeo.

Il futuro e le criticità della politica energetica di Gazprom

I contratti a lungo termine e la coppia North-South Stream disegnano quindi una precisa strategia che mira a radicare la presenza russa nel continente: sistemi economici ed industriali come quello tedesco sono ormai fortemente dipendenti dalle importazioni dalla Russia e gli stessi vertici politici (Schroeder prima e Merkel poi) non nascondono una certa assonanza di intenti con l’ex gigante sovietico. I capitali russi fanno gola all’economia tedesca così come Berlino può diventare un alleato importante nel cammino di Mosca verso il WTO, che proprio sulla politica energetica ha vissuto più di una fase di stallo. L’opposizione agli alti prezzi applicati alle esportazioni (anche oltre i 150$/bcm) a fronte dei bassi prezzi richiesti dal governo russo per sussidiare la produzione industriale – il fenomeno del cosiddetto dual pricing sul gas naturale – si è sposata infatti negli ultimi anni con la forte critica alla violazione del principio di unbundling che impedirebbe a Gazprom di mantenere il controllo sia della fase di estrazione e produzione sia della proprietà delle reti di distribuzione. Ma dietro al dato economico e giuridico si nascondono evidentemente i timori politici per un’eccessiva dipendenza dalla Russia, emersi chiaramente nelle crisi del gas in Ucraina e durante l’intervento armato in Georgia del 2008. La prima risposta alla scarsa diversificazione degli approvvigionamenti viene dal Nabucco, il gasdotto tutto “made in UE” che dovrebbe sostituire in parte i rifornimenti russi attingendo ai giacimenti del Caucaso (Turkmenistan, Azerbaijan e Kazakhstan), stridendo con il percorso di South Stream (attraverso Turchia, Bulgaria, Romania ed Ungheria), in particolare perla coincidenza nell’hub di snodo di Baumgarten; il rischio è che i forti rapporti di Gazprom con OMV e RWE, gli azionisti austriaco e tedesco del consorzio Nabucco, indeboliscano il progetto sponsorizzato dall’UE così come la forte influenza di Mosca sui Paesi caucasici non danno garanzie sull’accessibilità delle fonti: è il caso[5] offerto dall’accordo datato 5 marzo 2010 che ha portato al raddoppio della quantità di gas azero acquistata da Mosca.

La nuova politica di potenza del Cremlino può tuttavia essere contenuta anche attraverso un sempre maggiore coinvolgimento nei contesti di negoziato e consultazione multilaterale: l’ingresso della Russia nel WTO rimane certamente vincolato al rispetto di determinati standards giuridici nel settore energetico, in particolare riguardo al già citato unbundling ed ai diritti di transito, come quelli offerti ad esempio dall’Energy Charter Treaty (ECT). Nato sulla base della Carta Europea dell’Energia firmata nel 1991 per avviare un processo di liberalizzazione dei mercati e di cooperazione con i Paesi ex-sovietici, l’ECT ha visto nel 2006 il fermo rifiuto della Russia alla ratifica vedendo così momentaneamente esaurita una chance di coinvolgimento in un progetto giuridico che avrebbe imbrigliato la Russia in un sistema più trasparente e dotato di un organo di risoluzione delle controversie. Un segnale del risveglio europeo arriva comunque proprio dalla Commissione Europea, cronologicamente in parallelo con l’inaugurazione di North Stream a Vyborg: è del 28 settembre scorso il comunicato con cui Gazprom ha reso pubbliche le ispezioni che gli ispettori UE avevano condotto il giorno precedente negli uffici di Gazprom Germania e della controllata Vemex in Repubblica Ceca, per accertare che il gigante russo – controllante il 16% delle riserve mondiali di gas – non stia effettivamente godendo dei benifici di una posizione dominante in Europa. E ancora nella prima settimana di novembre[6] il monopolista del gas polacco PGNiG ha avviato un contenzioso presso il tribunale arbitrale internazionale di Stoccolma, richiedendo la revisione dei prezzi fissati nei contratti d’acquisto a lungo termine. Il regime contrattuale che ha contraddistinto l’azione internazionale di Gazprom rischia quindi di entrare in crisi e, se l’obiettivo di ancorare i prezzi alle quotazioni spot si può considerare ancora lontano, i segnali a favore di una riduzione della dipendenza europea dal gas russo sono certamente incoraggianti.

* Antonio Scarazzini è Dottore in Studi Internazionali (Università di Torino)


[1]   Dati disponibili su siti web Gazprom e NorthStream AG[2]http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2006/08/alan_29ago_GasGermaniaRussia.shtml?uuid=9d1a7afc-3767-11db-a713-00000e25108c&DocRulesView=Libero[3]http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2006/12/alan_19dic_GazpromGdf.shtml?uuid=1cd096f0-8f5b-11db-bf71-00000e25108c&DocRulesView=Libero[4]   http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-16/south-stream-decolla-come-175312.shtml?uuid=AaQng24D[5]   http://www.greenreport.it/_archivio/index.php?page=default&id=3830[6]   http://www.tmnews.it/web/sezioni/nuovaeuropa/PN_20111107_00313_NE.shtml

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