Il libro, da quello che traspare nell’incontro, è anche un tributo al padre dell’autrice, che è stato sindaco di Teheran all’epoca dello scià, e alla madre, una delle prime a diventare membro del parlamento in Iran. La famiglia di Azar Nafisi è quindi una famiglia di intellettuali, un po’ come quella della scrittrice pakistana Kamila Shamsie, altra autrice dell’area mediorientale presente al festival. Azar Nafisi è una donna spigliata e appassionata, lontanissima dallo stereotipo di donna iraniana sottomessa e ossessionata dalla religione che ci giunge dai media. E’ prova che esiste anche un Iran diverso, moderato, e Azar Nafisi ce lo fa capire dicendoci questo: “La cultura dell’Iran non è solo Ahmadinejad, Sakineh o il burqa, è anche la sua gente, i
Lo spazio per le domande permette al pubblico di esprimere tutto l’amore e l’entusiasmo per il libro di Azar Nafisi e in particolare per il processo a Gatsby messo in pratica dall’autrice e dai suoi studenti, una trovata effettivamente geniale. L’Iran e il Medio Oriente in genere sono stati tra l’altro un argomento molto dibattuto in molti eventi del festival. Per esempio, sotto il tendone in Piazza Erbe, c’era uno spazio dedicato al confronto e al dibattito sul web da parte dei giovani iraniani. Pare infatti che il persiano sia la terza lingua più usata su internet, o perlomeno sui blog, dopo l’inglese e il cinese.Viene da sé dire che mi è venuta una gran voglia di ributtarmi tra le meravigliose pagine di “Leggere Lolita a Teheran” ad affrontare le interpretazioni di alcuni grandi libri da un punto di vista iraniano, oppure prendere in mano “Le cose che non ho detto” e capire qualcosa di più su un paese che non ci ha dato solo i tappeti, ma anche grandi poeti e pensatori, tutta gente che le becere politiche di oggi vogliono cancellare. Perché la dittatura, ci fa capire Azar Nafisi, crea una cultura dell’oblio che noi dobbiamo assolutamente cercare di ostacolare, preservando la memoria.