Su internet fraintendere tutto è possibile, dato che generalmente uno legge il titolo del pezzo e le prime due righe, ma non dovrebbe essere difficile capire che Babau sin dal nome è un gioco e che una traccia intitolata “Palma Hayek” difficilmente poi suonerà come Ryoji Ikeda (che magari, di suo, è un allegrone, per carità). Luigi Monteanni e Matteo Pennesi sono due marchigiani che – parallelamente a questo progetto – hanno creato l’etichetta Artetetra in collaborazione con Manuel Coccia, che ha registrato con loro Papalagi presso il suo Plastic Recording Studio a Potenza Picena, dove hanno suonato una varietà di strumenti (percussioni, basso, chitarra, tastiere varie, clarinetti e nastri). “Papalagi”, a sua volta, inteso come esempio dell’invenzione di un mondo che non esiste (basata però su luoghi/persone reali che semplicemente non sono i nostri/non siamo noi), chiarisce l’intento “exotico” dei due, che in buona sostanza – mi scuso se non riesco a farmi troppe seghe mentali sull’argomento – si fabbricano il loro continente “altro”, pescando ritmi, suoni (suggestioni?) e voci a destra e a manca e provando a servircele sul tavolo il più gustose e psichedeliche possibili, non differentemente da altri progetti dell’underground di casa nostra, il cui scopo – il cui motivo d’interesse per me? – è un sano e liberatorio “primitivismo” (Cannibal Movie, Epiro solista, La Piramide Di Sangue, anche i Lay Llamas per certi versi…). Non siamo dunque di fronte a ricostruzioni patinate e pulitine come quelle degli anni del secolo scorso, né ai prodotti chic di certi dj più vicini a noi nel tempo (mi vengono in mente certe cose della Thievery Corporation), d’altro canto non c’è nemmeno tanta antropofagia: il giusto groove, un po’ di inquietudine, strane droghe in quello che ci fanno bere e via, proviamo a vedere che c’è in quella foresta.