Baby losers generation

Da Simonetta Frongia

Generazione di fenomeni cantavano gli Stadio qualche anno fa, invece generazione di perdenti (losers) è la definizione che il sociologo Louis Chauvel dà dei nati dopo gli anni Sessanta. Generazione di scolarizzati ai livelli più alti, appartenenti alle classi medio alte eppure con un reddito ed uno stile di vita che gli costringe a vivere peggio dei loro genitori. Pur essendo più scolarizzati dei loro genitori hanno un lavoro peggiore e guadagnano meno. I dati del rapporto Eurispes in Italia relativo al 2010, evidenzia come la riforma universitaria del 3+2 se nella carta aumenta la “democratizzazione” dell'accesso ai livelli alti di istruzione in concreto non si traduce in una democratizzazione del successo formativo, poiché sono ancora molto alti gli abbandoni. Si riconferma anche una sorta di sperequazione negli accessi, poiché i laureati provenienti da famiglie con un alto titolo di studio si confermano ancora superiori rispetto ai ceti più bassi, ancora a confermare una sorta di immobilità sociale del Paese.A tre anni dal conseguimento del titolo il 73,2% dei laureati in corsi lunghi e brevi è impiegato, mentre, rispettivamente, il 14,2% e il 12,1% risulta in cerca di un’occupazione (Istat). I laureati che svolgono un lavoro continuativo è di circa il 50%, mentre il restante 50% a tre anni dal conseguimento del titolo, risulta con un lavoro saltuario o impegnati in un lavoro precedente al titolo. Ancora a tre anni dalla laurea il 40% circa dei laureati ha un contratto a tempo indeterminato, e più del 30% ha un lavoro a progetto o a tempo determinato. La laurea non è sinonimo di stabilità lavorativa e non è sempre necessaria per trovare un’occupazione. La sovraqualificazione rispetto all’impiego provoca sia mobilità sociale discendente sia immobilità sociale. Se, infatti, tra i laureati molti sono figli di genitori laureati e tra questi, un'alta percentuale svolge un’occupazione che non richiede il titolo di studio acquisito, si può supporre che tra questi giovani ci sia una quota non irrisoria che, nonostante la laurea ha una condizione sociale inferiore rispetto a quella dei propri genitori. Il fenomeno della sovraqualificazione, inoltre, vanifica gli sforzi compiuti per tentare un’ascesa sociale.La laurea non è più garanzia di impiego stabile o adeguatamente retribuito ed ha conseguenze negative sull’occupazione.


Simonetta Frongia

Pubblicato sul periodico on line MoCa Press, Dicembre 2010, pag.4