Baghdad, Istanbul, Jakarta: ancora attentati

Creato il 14 gennaio 2016 da Retrò Online Magazine @retr_online

E’ una settimana di attacchi terroristici, una settimana di sangue e di morte. Prima Baghdad, poi Istanbul e, oggi, Jakarta. Che cosa sta succedendo e che cosa sappiamo di preciso fino a ora.

Non solo città europee nel mirino dei terorristi dell’Isis. A essere colpite sono state tre capitali ad alta densità di fedeli musulmani: Baghdad in Iraq, Istanbul in Turchia, Jakarta in Indonesia.
Una serie di attacchi portati a termine con cinture esplosive, assalti ai centri commerciali, assassinii a sangue freddo, bombe e spari vicino a locali e a centri istituzionali come ambasciate e centri ONU. Tutti rivendicati o attribuiti all’Isis. Tutti con una lunga scia di sangue alle spalle.
Ma che cosa sappiamo di certo a proposito di questi attachi fino a ora?

Baghdad sotto attacco con tre attentati nel cuore della città. Il cuore dell’Iraq sanguina come fece Parigi dal Bataclan.

Era appena sceso il sole, da poco passate le cinque di pomeriggio dell’11 gennaio. E il centro commerciale Jawhara, uno dei più grandi di Baghdad, si andava riempiendo sempre di più. In una terra dove è il sole a farla da padrone, si esce a fare compere tutti insieme solo nelle ore più fresche della giornata, un po’ come in tanti paesini tranquilli del sud Italia.
Proprio in quel momento, la zona residenziale nel sud-est della capitale iraqena è diventata un campo di battaglia.

Un commando di uomini armati ha iniziato a sparare sulla folla inerme all’ingresso del mall, per prenderne in ostaggio alcuni. Subito dopo, un’autobomba viene preparata e lanciata contro i soccorritori e le forze di polizia accorse sul luogo dell’attentato.

Contemporaneamente, un secondo e un terzo attacco hanno devastato prima un caffè gremito di persone e poi una strada affollata nella zona noord-est della città. I morti sono stati in totale circa 40. Nel centro commerciale Jawhara hanno perso la vita una ventina di persone, mentre negli altri attentati sono morte 20 persone all’interno del caffè e altre 7 a causa dell’attacco nelle strade.

Anche se Baghdad è sempre stata soggetto ad attacchi dinamitardi, raramente si erano visti attentati direttamente contro i civili. A rivendicare questa scia di morte è stato il gruppo dell’Isis nemmeno un’ora più tardi. “Questo è solo l’inizio” hanno dichiarato in un messaggio video.
Questi attentati potrebbero essere una specie di rappresaglia per la riconquista da parte del governo iraqeno sostenuto da USA e Iran della città di Ramadi, roccaforte dell’Isis che da sempre afferma di voler far diventare “la provincia di Baghdad” parte del Califfato.

Istanbul subisce un attacco terroristico proprio vicino ai simboli dell’Islam. E’ il terzo in pochi mesi in Turchia, dopo quelli subiti ad Ankara e e Suruk, costati la vita a più di 130 persone e un totale di  245 feriti.

Photo credit: Harold Litwiler, Poppy Big Oak Photography via Foter.com / CC BY

La mattina del 12 gennaio, Istanbul si sveglia come tutti gli altri giorni. E, come tutti i giorni, moltitutdini di turisti si assiepano attorno alla Moschea Blu e Santa Sofia.
Tutto accade molto velocemente: si sente uno scoppio e la terra trema per un attimo sotto i piedi. Del fumo nero si alza dal viale che costeggia piazza Sultanahmet, di fianco alla Moschea Blu. Stranieri e residenti iniziano a fuggire, ma al suolo restano almeno dieci persone.
I morti sono 10, di cui 9 tedeschi e un peruviano. L’attentatore, morto suicida azionando le cinture esplosive, si chiama Nabil Fadli, un saudita che ha raggiunto la Repubblica Turca attraverso la Siria. Non era dunque di origini siriane, come annunciato dal Presidente turco Erdoğan. I feriti sono almeno 15, tra cui molti stranieri (la Corea del Sud ha reso noto di un loro connazionale rimasto ferito nell’esplosione).

Intanto, i giornali turchi commentano la vicenda. Alcuni, come Hurriyet, vede la causa dell’attentato nell’instabilità politica siriana. “L’attentato terroristico di Istanbul era annunciato”, scrive Mehmet Yılmaz: “È come se fossimo seduti in permanenza su una bomba che sta per scoppiare”. La colpa, secondo Yilmaz, è stata quella di aver chiuso tutti e due gli occhi verso il pericolo jihadista siriano mentre si era troppo occupati a sostenere i ribelli per rovesciare Assad.

I giornali tedeschi, invece, sottolineano come questo attentato non colpisca solo la Turchia, ma l’Europa intera. “L’attentato solleva molti interrogativi”, sostiene Joachim Käppner del Sueddeutsche: “Il modus operandi indica il gruppo Stato islamico (Is) come autore, e i turchi dicono che è così. In tal caso, però, non è chiaro se le vittime tedesche siano state scelte in modo deliberato o se si trovassero solo nel posto sbagliato al momento sbagliato”.
Gerd Appenzeller, della testata tedesca Der Tagesspiegel, sottolinea come “la traccia di sangue dello ‘Stato islamico’ e di Al Qaeda può essere individuata ovunque ci siano turisti. Le vittime possono essere di qualunque religione, musulmani o cristiani. Il terrore non ha preferenze, colpisce la gente del posto come i turisti, i giovani come gli anziani”.
Come sostiene sempre Käppner del Süddeutsche Zeitung, “Non importa se è seduto in un caffè di Parigi o se sta visitando i monumenti islamici a Istanbul. E il fatto che la coalizione contro l’Is non segua un piano coordinato non rende le cose più semplici”. E l’attacco potrebbe “avere ripercussioni sulle politiche sui profughi”, perché “i piani di Angela Merkel per stablizzare la Turchia per evitare nuove ondate di migranti potrebbero subire uno stop imprevisto”.

A oggi, 9 dei 15 feriti sono stati dimessi. Sono stati fermate 5 persone sospettate di essere legate all’attentatore. Si è poi susseguita un’ondata di arresti, in totale 65, tutti su persone sospettate di star raccogliendo informazioni su edifici pubblici e istituzionali turchi. Tra di essi, anche 3 russi e una dozzina di siriani. I siriani sono stati tutti espulsi.

A Jakarta l’ultimo attentato. Spari ed esplosioni nel quartiere commerciale e finanziario della capitale del paese definito culla dell’Islam moderato.

Decima potenza economica e tredicesima democrazia mondiale dopo India e Stati Uniti, nonché il paese al mondo con la più alta concentrazione di musulmani, «l’Indonesia ha l’ambizione di definirsi un paese islamico moderato», aveva sottolineato in una intervista a ottobre Corinne Breuzé, ambasciatrice francese nell’arcipelago.
Ed è forse proprio questo il motivo per cui è stata attaccata dai fondamentalisti. Un pericoloso precedente, una brutta deviazione da

quello che gli uomini dell’Isis trovano “accettabile ” e “giusto”.
Non deve essere piaciuto il “wajah islam”, l’islam colorato e cordiale, ai terroristi del Califfato, che la mattina del 14 gennaio hanno piazzato 4 cariche esplosive nel cuore finanziario della capitale indonesiana, nel quartiere vicino a Thamrin Street, luogo in cui si trovano anche diverse ambasciate e la sede nelle Nazioni Unite. Tre di queste cariche sono detonate nei pressi di un locale Starbucks.

I morti sono 7 e i feriti 19. Tra i morti, due civili e 5 attentatori. Non sono ancora stati rese note le identità dei feriti e delle vittime. Tre attentatori sono morti nello scontro a fuoco con le forze di polizia, mentre altri due si sono fatti esplodere a bordo delle loro moto mentre tentavano di raggiungere il centro commerciale Sarinah. Alcuni blocchi di polizia li hanno fermati prima che raggiungessero l’affollato mall.

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