di Elio Amicarelli
L'arrivo dell'anno nuovo solitamente è accompagnato da un esercizio collettivo di wishful thinking. Zbigniew Brzezinski è un politologo che per i frequentatori di queste pagine non ha bisogno di presentazioni; il suo ultimo articolo apparso sul numero di gennaio/febbraio della rivista Foreign Affairs potrebbe sembrare un coacervo di geopolitica e buoni propositi, dovuti in parte al cambio di data sul calendario. Ma chi conosce la fama dello studioso in questione ed è al corrente dell'influenza che le sue idee hanno avuto sulla politica estera statunitense sa che non è così.
Balancing the East, Upgrading the West è una riflessione strategica di ampio respiro sul futuro della politica estera statunitense, i cui tratti, spesso arditi, affondano le radici in una profonda presa di coscienza circa la necessità di far fronte all'emergere di una realtà internazionale in rapido mutamento. L'articolo è un estratto adattato dal libro di prossima pubblicazione Strategic Vision: America and the Crisis of Global Power. In esso troveremo l'evoluzione, senza soluzione di continuità, di tutti gli elementi che hanno caratterizzato il pensiero strategico di Brzezinski sin dalla pubblicazione di The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, indiscusso caposaldo nella letteratura delle Relazioni Internazionali.
In questo articolo Brezinski guarda all'Eurasia e individua due fenomeni con i quali bisogna confrontarsi: ad Ovest l'arresto del processo immaginativo dell'Unione Europea, ad Est l'emergere di nuove potenze, prima tra tutte quella cinese. Secondo l'autore gli Stati Uniti devono mostrare al mondo di avere la forza di riprendersi e di rinnovarsi al fine di condurre un'azione sinergica su queste due realtà:
[the UnitedStates] must be the promoter and guarantor of greater and broader unity in the West, and it must be the balancer and conciliator between the major powers in the East. Both roles are essential, and each is needed to reinforce the other.
Un piano per l'Europa. Gli anni che sono seguiti alla fine della Guerra Fredda hanno visto un progressivo appannamento del concetto geopolitico di Occidente. Al mutamento dello scenario geostrategico ha fatto seguito un parziale mutamento degli interessi e degli spazi di manovra dell' Unione Europea che, pur restando in certi ambiti saldamente ancorata allo storico alleato, è riuscita anche a trovare una sua dimensione politica sganciata dagli interessi statunitensi. Mi sembra questo il quadro che Brzezinski ha in mente quando scrive della necessità di creare "a cooperative larger West".
Al fine di rinsaldare i legami geostrategici tra Stati Uniti ed UE, Brzezinski lascia intendere che gli Stati Uniti potrebbero avvalersi del proprio peso sugli affari relativi alla sicurezza europea come leva per condizionare i futuri sviluppi del processo di integrazione dell'Unione. Lo scopo e la portata di quest'idea diventano subito chiare quando l'autore converte il precetto in direttrici di "allargamento dell'Occidente":
For the United States to succeed as the promoter and guarantor of a renewed West, it will need to maintain close ties with Europe, continue its commitment to NATO, and manage, along with Europe, a step-by-step process of welcoming both Turkey and a truly democratizing Russia into the West.
L'azione verso la Russia dovrebbe essere attuata tramite un dispositivo franco-tedesco-polacco volto ad incentivare una profonda riconciliazione tra Russia e Polonia. Il tipo di impegno che Brzezinski prospetta dovrebbe essere modellato sulle linee del rapporto costruito tra Francia e Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale: avviato e gestito dall'alto e al contempo promosso verso il basso su un piano socio-culturale. Leggendo fra le righe, l'autore pare suggerire la possibilità di muovere questa azione culturale nei confronti della società civile russa giocando sul tavolo della questione democratica:
But in order for Russian-Polish reconciliation to endure, it has to move from the governmental level to the social level, through extensive people-to-people contacts and joint educational initiatives.[...] Also, although a significant portion of the Russian public is ahead of its government in favoring EU membership, most Russians are unaware of how exacting many of the qualifying standards for membership are, especially with regard to democratic reform.
Parallelamente l'UE dovrebbe concentrarsi maggiormente sulla questione ucraina cercando di portare Kiev in Europa. Quanto alla Turchia Brzesinski non entra nel merito e si limita a richiamare in più occasioni l'immagine di una Turchia membro dell'Unione Europea.
Ridotta ai minimi termini, l'idea che Brzezinski suggerisce consiste nell'influenzare la riflessione strategica dell'UE in modo da farne un attrattore nei confronti di Russia e Turchia. L'autore ricorre alla tesi della necessità per gli Stati occidentali di far gruppo per riuscire a tener testa all'ascesa delle potenze asiatiche e presenta dunque la configurazione di un Occidente allargato come vantaggiosa per tutti gli attori in gioco. Probabilmente però le cose non stanno esattamente così. Per questioni legate in misura maggiore alla configurazione degli equilibri di potere all'interno dell'Unione che non al genocidio armeno o alla questione cipriota, l'ammissione della Turchia va contro gli interessi delle potenze che detengono la leadership in seno all'UE. Inoltre Ankara sta cogliendo ottimi frutti percorrendo la via del neo-ottomanismo in virtù del quale, da tempo, ha messo da parte le proprie aspirazioni europeiste. Quanto alla strategia tracciata per la Russia, lo stesso Brzezinski, sorvolando sulla natura degli interessi russi e minimizzando a mio avviso le proporzioni della suscettibilità del Cremlino, non può esimersi dall' osservare che:
The process of the EU and Russia coming closer is likely to stall occasionally and then lurch forward again, progressing in stages and including transitional arrangements.
Gestire l'estremo Oriente. Nei confronti della Cina, Brzezinski si fa sostenitore di un approccio costruttivo. Gli Stati Uniti dovrebbero assumere in Asia un ruolo di bilanciatore regionale simile a quello assunto dal Regno Unito nella politica europea durante il XIX secolo. Gli USA devono adoperarsi per coinvolgere la Cina in un dialogo sulla stabilità regionale atto a diminuire le possibilità di miscalculation tra Cina e Giappone, tra Cina e India ed eventualmente tra Cina e Russia. Mediazione e bilanciamento degli squilibri di potere sarebbero le due principali attività di Washington, ed andrebbero svolte senza assumere una dimensione geopoliticamente ingombrante, nel rispetto dei diversi sistemi socio-economici, difendendo l'alleanza con Giappone e Corea del Sud pur ponendo particolare attenzione nel non lasciarsi coinvolgere in guerre sulla terraferma.
Così come l'avvicinamento franco-tedesco e quello tedesco-polacco hanno posto le basi per la stabilità europea dopo la Seconda Guerra Mondiale, allo stesso modo un avvicinamento tra Cina e Giappone sortirebbe effetti positivi in estremo Oriente:
China knows that the United States' commitment to Japan is steadfast, that the bond between the two countries is deep and genuine, and that Japan's security is directly dependent on the United States. And knowing that a conflict with China would be mutually destructive, Tokyo understands that U.S. engagement with China is indirectly a contribution to Japan's own security. In that context, China should not view U.S. support for Japan's security as a threat, nor should Japan view the pursuit of a closer and more extensive U.S.-Chinese partnership as a danger to its own interests. A deepening triangular relationship could also diminish Japanese concerns over the yuan's eventually becoming the world's third reserve currency, thereby further consolidating China's stake in the existing international system and mitigating U.S. anxieties over China's future role.
Brzezinski inoltre mette in guardia da quello che secondo lui (e come noi abbiamo già sostenuto in passato) è tra i pericoli più incombenti sul rapporto USA-Cina ovvero la possibilità di mettere a repentaglio gli spazi di cooperazione innescando un'escalation ideologica nei toni del discorso politico:
If an anxious United States and an overconfident China were to slide into increasing political hostility, it is more than likely that both countries would face off in a mutually destructive ideological conflict. Washington would argue that Beijing's success is based on tyranny and is damaging to the United States' economic well-being; Beijing, meanwhile, would interpret that U.S. message as an attempt to undermine and possibly even fragment the Chinese system. At the same time, China would stress its successful rejection of Western supremacy, appealing to those in the developing world who already subscribe to a historical narrative highly hostile to the West in general and to the United States in particular. Such a scenario would be damaging and counterproductive for both countries.
Infine l'autore abbozza un'agenda politica in tre punti per il raggiungimento del quadro proposto. In primo luogo gli USA devono riconsiderare l'opportunità del pattugliamento navale compiuto nella Zona economica esclusiva e sul confine delle acque territoriali cinesi. Lo stesso discorso vale per le perlustrazioni aeree. In secondo luogo, su una prospettiva di medio periodo, USA e Cina devono avviare delle consultazioni periodiche circa i loro piani militari di lungo termine al fine di trovare misure di rassicurazione reciproca. In terzo luogo se gli USA vogliono mitigare i rapporti con la Cina devono trovare una soddisfacente prospettiva di lungo periodo sulla questione taiwanese. Alla luce dei rapporti economici e politici che si stanno sviluppando tra Pechino e Taipei, il loro rapporto potrebbe venir modellato sulla scorta di quello esistente tra Pechino e Hong Kong; con le dovute specifiche del caso la formula " un Paese, due sistemi" potrebbe diventare tra una decade "un Paese, più sistemi".
Gli ingredienti tipici della visione geostrategica di Brzezinski ci sono tutti: un atteggiamento ambivalente nei confronti dell'Unione Europea la cui integrazione deve essere consolidata ma logorando al contempo la preminenza franco-tedesca, la volontà di rendere la Russia uno Stato meno assertivo, la necessità di impedire avvicinamenti tra Mosca e Pechino.
Detto ciò e spostandoci dal piano prescrittivo di Brzezinski a quello della valutazione della realizzabilità degli scenari che lo studioso delinea non posso esimermi dall'esprimere alcune perplessità. Come già osservato il piano per l'Europa non prende in dovuta considerazione i reali interessi degli attori in gioco (UE, Russia, Turchia) e dunque le prescrizioni che l'autore formula per la politica estera statunitense più che essere portatrici di una volontà di inserimento in questi diversi contesti politici sembrano incorporare una volontà di imposizione della prospettiva americana. Gli USA hanno a loro disposizione delle buone leve nei confronti dell'Unione Europea ma, valutando i reali interessi di quest'ultima, bisogna riconoscere che gli Stati Uniti per ottenere dei risultati dovrebbero utilizzare i loro strumenti di influenza in maniera molto pressante. Stando così le cose molto probabilmente l'effetto ottenuto sarebbe l'opposto di quello desiderato, più che ampliare l'Occidente si correrebbe il rischio di allargare le sue fratture. Un fattore decisivo nel delinearsi di una prospettiva piuttosto che dell'altra risiederà nel tipo di rapporto che si instaurerà tra Cina e UE.
La Turchia è uno Stato che sta ridefinendo con successo la sua politica estera sulle linee di una politica di civiltà (nel senso di Samuel Huntington) e questo la rende quanto mai distante da aspirazioni europeiste. A mio avviso è proprio sul neo-ottomanismo turco che Washington dovrebbe contare. La Turchia è da tempo alleato della Casa Bianca, gli USA potrebbero contare sulle aspirazioni di Ankara e su un suo ruolo di spicco in Medio Oriente come appoggio per tutelare i proprio interessi nella regione e al contempo attuare un refocus della propria attenzione strategica verso il Rimland orientale dell'Eurasia.
L'architettura prospettata per l'Estremo Oriente è interessante e si basa su una equilibrata valutazione dei rischi e delle opportunità geopolitiche derivanti dall'ascesa cinese. Tuttavia l'autore non si accorge che le azioni prospettate in Europa e in Estremo Oriente hanno tutte le carte in regola per entrare in rotta di collisione e generare così un tilt nel circuito: se l'UE stringe i legami (economici) con Pechino e gli USA incrementano le pressioni per mantenere l'Europa in Occidente, il risultato potrebbe essere quello di una destabilizzazione sul tavolo estremo-orientale.