di Alfredo Sasso
“La Bosnia, di fatto non è uno stato”; “La divisione della Bosnia potrebbe stabilizzare la regione balcanica”, dove c’è bisogno di “frontiere più naturali”, così come alcuni “scambi di territorio” tra i paesi. Sono posizioni che, per chi conosce il contesto delle repubbliche ex-jugoslave, non possono lasciare indifferenti. Soprattutto se chi le sostiene è Slavoj Žižek, senz’altro uno dei principali pensatori del mondo contemporaneo, di scuola neomarxista, molto vicino ai nuovi movimenti sociali come la Rete Occupy.
Žižek è stato intervistato venerdì scorso dal programma settimanale “Recite Al Jazeeri” del canale Al Jazeera Balkans (versione in lingua serbocroata dell’emittente qatariana, che trasmette via satellite nell’intera regione ex-jugoslava). Tra una critica al capitalismo selvaggio, uno sguardo alla crisi dell’UE e un’analisi sulla primavera araba, Žižek si è espresso anche sull’attuale situazione nei Balcani, individuandovi tra i problemi principali la cronica stagnazione economica, l’instabilità delle relazioni interetniche e la diffusione delle reti criminali (“l’unico ente davvero transnazionale della regione”, ha osservato acutamente).
Fin qui, nulla di opinabile. A stupire, invece, sono le soluzioni proposte. Dopo avere sottolineato che la Bosnia Erzegovina “non è, di fatto, uno stato”, Žižek si è detto esplicitamente favorevole ad un’eventuale separazione tra la Federazione di BiH e la Repubblica Srpska (RS), e alla conseguente annessione di quest’ultima con la Serbia, operando eventualmente alcuni ritocchi delle frontiere tra i rispettivi paesi. Secondo Žižek, una soluzione simile sarebbe auspicabile anche per il Kosovo, tramite uno scambio di territorio tra Belgrado e Pristina. La sua idea portante è che i paesi della regione debbano dotarsi di “frontiere più razionali” per raggiungere sviluppo economico e stabilità delle relazioni interetniche. Questa lettura riconosce quindi l’omogeneità etnico-nazionale come unico criterio razionale,. Eppure Žižek, che è nato a Lubiana, dovrebbe sapere molto bene che nell’area ex-jugoslava questo criterio è impossibile da implementare a pieno sulle carte, e soprattutto sul suolo reale, senza trasferimenti forzati di popolazione e conflitti sociali potenzialmente replicabili all’infinito.
Quanto al giudizio secondo cui la Bosnia Erzegovina non è un vero stato, c’è poco da obiettare. Se ne rendono conto quotidianamente i suoi abitanti e i suoi leader politici (per quanto molti di loro evitino di dichiararlo in pubblico). Tutti sanno che quest’apparato-monstre di 2 entità, 5 presidenti, 10 cantoni, 13 parlamenti e governi non ha funzionato, né potrà mai funzionare in questi termini. Ma a pensare che l’unica strada per uscire dal tunnel sia la separazione, come sostiene Žižek, viene più di qualche dubbio. Sorge spontanea una domanda: se la Bosnia Erzegovina attuale non è un vero stato, perché dovrebbe esserlo una Federazione di BiH amputata della RS?
Si tratterebbe dell’ennesimo micro-stato balcanico, ancora più soggetto all’impunità delle reti criminali transnazionali, alla dipendenza economica e alla sudditanza politica. Un altro “stato che non c’è”, quindi. Proprio gli stessi motivi su cui Žižek dice di fondare la sua tesi si ritorcerebbero contro questa mini-Bosnia. E perché mai le relazioni interetniche ne gioverebbero? La Bosnia Erzegovina senza RS si troverebbe ad affrontare, da subito, le rivendicazioni dei partiti croatobosniaci (la cui comunità è concentrata soprattutto in Erzegovina, nel sud del paese) che a quel punto esigerebbero la creazione di una seconda entità, con ancora più veemenza di quanto non stiano già facendo ora. O forse, più esplicitamente, richiederebbero l’annessione alla Croazia. Altre tensioni, altre divisioni. Punto e a capo. Inoltre è assai probabile che l’eventuale divisione della Bosnia porterebbe ad un’ulteriore radicalizzazione identitaria, su base nazional-religiosa, dentro la comunità bosgnacca musulmana.
Peraltro, è un po’ azzardato pensare all’annessione della RS alla Serbia come un processo automatico. Basta dare un’occhiata a una cartina geografica per rendersi conto dell’assoluta discontinuità territoriale della RS, con notevoli problemi pratici per le comunicazioni e i collegamenti infrastrutturali con Belgrado. E come reagirebbe la Croazia ad avere centinaia di chilometri di frontiera comune in più con la Serbia? Due anni fa, l’allora presidente croato Stipe Mesic si dichiarò disposto a mandare l’esercito in Posavina non appena in RS si fosse tenuto un referendum per la secessione. Quelle affermazioni rendono bene l’idea dell’aria che tirerebbe a Zagabria in caso di scisma bosniaco, pur non dimenticando che il buon vecchio Stipe (già in pensione da un paio d’anni) era solito alle provocazioni facili. Non diversamente da Žižek, del resto.
Infatti, conoscendo il personaggio, resta il fondato dubbio che il professore lubianese abbia preso questa posizione per spirito squisitamente provocatorio, come contrapposizione al moloch della comunità internazionale, di cui la Bosnia Erzegovina odierna sarebbe una creazione artificiosa. In questo caso, però, andrebbe segnalato a Žižek che la separazione della BiH da un po’ sembra non essere un tabú negli ambienti diplomatici e nelle agenzie internazionali, dove se ne parla apertamente come un’opzione possibile (addirittura qualcuno la dava per scontata).
Ciò che stupisce, ascoltando l’intervista a Žižek, è che il dogma dell’etnonazionalismo si insinui anche in menti del tutto insospettabili di simpatie scioviniste e impedisca di prendere in considerazione soluzioni alternative. Di gran lunga più originali, audaci e perfino rivoluzionarie. Nel caso della BiH, ad esempio, perché non pensare ad una riforma centrata sulle regioni naturali del paese (i cui confini presenterebbero senz’altro elementi di fondata razionalità tanto cara a Žižek)? Perché, invece di avallare secessioni drastiche e costruire nuove frontiere, non si propone di ridisegnare i cantoni della Federazione BiH e di snellirne drasticamente l’apparato burocratico-istituzionale, uno dei cancri principali del paese?