di Alex De La Iglesia (Spagna, 2010)
con Carlos Areces, Antonio De La Torre, Carolina Bang
VOTO: ****/5
Ballata dell'odio e dell'amore è infatti una pellicola a tinte fortissime, volutamente macabra, sempre costantemente sopra le righe e sempre eccessiva, un autentico ‘delirio’ visivo di indiscutibile potenza e temerarietà. Film coraggioso e 'esagerato', in bilico tra il fumetto e l’horror, sicuramente non per tutti (si allontanino coloro che sono di stomaco debole e amanti del cinema iper-autoriale… insomma, astenersi perditempo!). E' un film che all'epoca fece andare in brodo di giuggiole perfino Quentin Tarantino, che in quell'occasione era presidente di giuria e cercò fino all'ultimo di candidarlo al Leone d'Oro, salvo poi far vincere la sua ex-fidanzata Sofia Coppola (era l'anno di Somewhere).
Un avvertimento, però, anche ai fan di Tarantino: non aspettatevi certo di vedere un videogame pieno di morti e sangue a ritmo di musica,. sullo stile di Kill Bill: qui la violenza, seppure in quantità industriale, non è gratuita e non è mai fine a se stessa. E soprattutto il film è inserito in un contesto storico particolare, che ha un’importanza e una morale fondamentale per la sua comprensione.
La storia è quella di due artisti circensi che, nella Spagna franchista (attenzione a questo ‘piccolo’ dettaglio…), si contendono l’amore di una bella trapezista. I due sono totalmente diversi per carattere e idee: Sergio, capo-clown, è sanguigno, tirannico, ubriacone e donnaiolo. Javier, pagliaccio triste, è timido e compassato, ma dentro di sè ha un insaziabile desiderio di vendetta verso il regime e i despoti in generale, e questo in seguito alla morte violenta del padre, ucciso dalle truppe governative. I due si trovano ben presto in conflitto tra di loro, reclamando entrambi il cuore della donna: una gelosia che li farà impazzire, massacrandosi a vicenda in modo così cruento da far rivoltare lo stomaco anche degli spettatori più smaliziati, e riducendosi a due penosi ‘freaks’ che faranno inorridire anche la persona amata.
E’ curioso notare che a quella Mostra del Cinema era presente anche un’altra pellicola che, per certi versi, ha moltissime similitudini con questa, pur essendo stilisticamente ben diversa: si tratta di Post Mortem di Pablo Larrain: anch’essa infatti ‘parla’ spagnolo, ha una rivoluzione sullo sfondo (quella cilena, e anche l’anno è lo stesso: il 1973!) , e tratta di una persona apparentemente ‘normale’ che gli eventi trasformano tragicamente. Due modi diversi di fare cinema, ma che conducono allo stesso fine.
Anche questo è il bello dei Festival, dopotutto.