Quindi, in una mattina di pioggia incessante, con le strade allagate e molte chiuse al traffico, come raramente accade nella capitale diventata ormai una specie di Atlantide, ha imboccato la strada per l’aeroporto, temendo di perdere il volo causa strade bloccate, con una genitrice ansiosissima che però faceva finta di niente, seppur continuando a sciorinare tutto il repertorio di raccomandazioni materne per un figlio che parte per l’America, che è lontana, dall’altra parte della luna, come cantava qualcuno.
Accettato all’ultimo istante al ceck-in, ha salutato la genitrice assai devastata dall’alzataccia, ma soprattutto dal fatto che il suo piccolino stava volando da solo verso la tentacolare Grande Mela. E anche se il suo piccolino ha vent’anni e ha già vagato volando e ballando per mezzo mondo, anche in luoghi lontanissimi dal nome impronunciabile da quando era veramente piccolino, lei pregava in silenzio esibendo un sorriso rassicurante che tutto andasse bene, che le intemperie non minassero il tragitto aereo prima e ferroviario poi, che nessun residente del Bronx in trasferta a Manhattan o a Miami potesse rapinarlo, che il gelido freddo newyorkese non lo assalisse, che gli amici ospitanti, salutisti e vegetariani sopportino di buon grado il suo disordine, apprezzino la sua cucina e la sua simpatia, che le audizioni vadano benissimo (davvero ha sperato in questo?) che tutto potesse svolgersi nel migliore dei modi possibili.
A due ore dall’atterraggio previsto ancora nessuna notizia e quando ormai il livello ansiogeno della genitrice aveva oltrepassato il livello di guardia, un sms annuncia che è arrivato e che quando trova un wifi magari ci sentiamo. Magari.
So che non mi abituerò mai a queste partenze, alle valige da fare e disfare (quella dell’arrivo da Berlino di soli cinque giorni fa è ancora un po’ da sistemare) alle corse, alle attese, alle ansie, al controllo spasmodico del cellulare, ai fusi orari da calcolare per le telefonate, all’idea di avere per figlio un folletto ballerino che saltella da un continente all’altro con la massima disinvoltura, con l’unica sua preoccupazione di essersi ricordato tutte le mezzepunte e l’onnipresente lap top. Ma so anche che questa è e sarà la sua vita e, volente o nolente, dovrò accettarlo di buon grado.
Se esiste un dio dei folletti volanti e ballerini, lo pregherei di volgere un occhio verso questo bambino troppo cresciuto e proteggerlo, senza farsene accorgere, da qualsiasi tipo di pericolo. Anche da quello di una mamma ansiosa.
Buon viaggio amore mio!