Un campo di pomodori. Piegati a raccoglierli uomini e donne. Qua e là figure più piccole. Sono bambini di 12, 14, 16 anni, ma anche meno
Tra i molti film che saranno proiettati al festival Tutti nello stesso piatto anche The Harvest-La Cosecha. Una storia di lavoro minorile nella patria della civiltà: i moderni Stati Uniti. Il racconto del regista americano Roberto Romano.
Un campo di pomodori. Piegati a raccoglierli uomini e donne. Qua e là figure più piccole. Sono bambini di 12, 14, 16 anni, ma anche meno. Siamo in Kenya, Pakistan, Thailandia o in uno dei molti Paesi che rientrano nella categoria “in via di sviluppo”? No, siamo negli evoluti e moderni Stati Uniti: in Texas, Florida, Tennessee. Racconta la storia di questi baby lavoratori del Nord del mondo “The Harvest-La Cosecha”, il documentario diretto da Rubin, Roberto Romano, regista statunitense che, dopo aver documentato il lavoro minorile nel Sud del mondo ha deciso di dedicarsi a quello del suo Paese. Il 14 novembre prossimo, mentre gli Stati Uniti saranno alle prese con il post elezioni presidenziali, Rubin sarà in Italia, a Trento, al festival Tutti nello stesso piatto, a parlare di questa America così diversa dalle copertine patinate, dal Super Bowl o dalla frenesia di Wall Sreet.
«Probabilmente pochi sanno, tra gli americani e non solo, che ogni anno tra 250 e 400 mila bambini lavorano nei campi negli Stati Uniti per raccogliere la frutta e la verdura che troviamo sugli scaffali dei supermercati», spiega a Valori Rubin. Quello che The Harvest-La Cosecha racconta, attraverso le storie di quattro ragazzi (o, meglio, bambini), che Rubin ha seguito per tre anni, è un viaggio, che intere famiglie compiono ogni anno per gli Stati Uniti, da Sud a Nord, per seguire le stagioni della raccolta nei diversi Stati. Vengono chiamati “migranti”, dormono in case arrangiate, baracche, roulotte. Per ogni vegetale una “casa” in un posto diverso. Sveglia all’alba e via nei campi, adulti e bambini, per portare a casa pochi dollari. «Lavorano 12-16 ore al giorno, sette giorni su sette – continua Rubin – e sono esposti a ogni pericolo, anche a sostanze tossiche, pesticidi usati in agricoltura».
Ma com’è possibile? La legge americana lo permette? E perché le famiglie costringono i figli a questa vita? «È tutto legale – risponde Rubin – a causa di una falla nel sistema di norme federale, che vieta ai minorenni di lavorare in un ufficio con l’aria condizionata, ma permette ai bambini di 12 anni, e talvolta anche meno, di raccogliere frutta e verdura nei campi anche per 16 ore al giorno. Una legge nata per tutelare le famiglie contadine e la possibilità di essere aiutate dai loro figli. Il salario di questi “migranti contadini” è al di sotto della soglia di povertà. Coinvolgono i figli nella raccolta per avere più braccia e qualche dollaro in più. Ma il risultato è un danno enorme per questi ragazzini. Vengono tolti dai banchi di scuola, talvolta solo per pochi mesi, per partecipare alla raccolta primaverile ed estiva. Ma nella maggior parte dei casi è sufficiente per far perdere loro l’anno scolastico e spesso la voglia di studiare. Sono così condannati alla stessa condizione di povertà dei loro genitori».
«Voglio che mia figlia studi perché non si riduca a fare la mia stessa vita», dice nel film la madre “contadina migrante” di una delle giovani protagoniste.
«Credo che la maggior parte degli americani, se sapessero che le zucchine che comprano al supermercato sono raccolte da ragazzini dell’età dei loro figli, non lo accetterebbero», conclude Rubin con un misto di speranza e disillusione. «Ma ci sono troppi interessi economici in gioco, che impediscono che questa situazione venga denunciata».