Va detto che ciò che francamente non torna è la definizione che i Sensitive stessi danno della loro musica su siti internet, social networks e compagnia bella: rock’n’roll, grunge, punk. Di fatto, c’è ben poco di tutto questo, nel loro lavoro. Eccezion fatta per qualche richiamino heavy, a regnare è il sound pop, in tutta la sua spensierata forza dirompente ed intellettualmente leggera. Insomma, siamo più vicini ai Negramaro piuttosto che ai Nirvana, più verso Ligabue che Guns’n’Roses, Foo Fighters e Velvet Revolver, assi del rock che i nostri indicano come loro fonti di ispirazione. (Nello stesso modo in cui una rondine non fa primavera, una chitarra distorta non fa rock’n’roll).
E’ infatti una specie di purgatorio che ciondola tra un tappeto di arrangiamenti potenzialmente “duri” e parti vocali, italianissime, che ammorbidiscono l’atmosfera graffiando con moderazione e prediligendo linee “pulite” e di notevole presa, condite da tematiche che toccano una quotidianità famigliare a tutti. “Alice” e “L’Ultimo Show” parlano chiaro: pur nella loro abissale differenza (una è un lentone accalappiatutto, l’altra un treno pop-rock con tanto di riff alla Iron Maiden) sono due brani che dipingono in tutto e per tutto l’approccio fluido e coerente che i Sensitive hanno adottato nei confronti della composizione.
Una formula che piace, a giudicare dal seguito e dalla notorietà che si stanno guadagnando espugnando i più noti locali di Alessandria, provincia e non solo. Sandro (voce), Same (chitarra e voce), David (chitarra e voce), Paolo (batteria), Marco (basso) e Fabio (tastiere, synth e voce) lavorano moltissimo dal vivo e consumano altrettanta energia in studio e nei clip promozionali, dove una professionalità innegabile tocca produzione, immagine e profilo tecnico. E non è un caso che la band sia così concentrata su promo dal montaggio astuto e video clip, mezzi utilizzati dal mercato con la M maiuscola per riversare successoni sul “popolo” sin dai tempi della nascita di MTV, negli anni ‘80: business is business, la musica finisce in vetrina, viene confezionata, e quindi distribuita in un formato che va oltre le sette note e che oltre all’essenza valorizza anche la forma. O almeno così ci è stato insegnato ed imposto, nell’ambito mainstream, da trent’anni a questa parte.
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