Per il momento, il cosiddetto Renatino, descritto dai pentiti come boss dei Testaccini, cioè la frangia più pericolosa e potente della Banda della Magliana, resta nella basilica romana, come se fosse stato un santo, come se fosse stato davvero un benefattore dei poveri. Un benefattore...
Così lo descrisse don Pierino Vergari, l’allora rettore del tempio, che raccomandò la salma al cardinale Ugo Poletti, Vicario del Papa “santo subito”, nonché presidente della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana. Quando la notizia della sepoltura venne resa nota era il 1997. Si mobilitarono politici e sindacati di polizia, ma poi sulla vicenda calò l’oblio.
Quando trovai i documenti autografi e le foto inedite di quella tomba era il 2005. Mostrarli in televisione diede un risalto incredibile alla notizia. L’indignazione fu corale.
Indagando, come una cronista può fare, riuscii ad entrare in possesso dei documenti e delle foto a cui ho già accennato e intervistai, tra gli altri, la ditta che organizzò la translazione dal Verano alla Basilica, un operaio che si occupò dei lavori, il rettore dell’epoca, il magistrato che approfondì il caso…
Nessuno spiegava come il De Pedis potesse essere davvero finito in quella cripta. Qualcuno parlava di soldi, tantissimi, dati al Vicariato, qualche altro di chissà quale favore. Su tutto, il sospetto che ci fosse qualcosa di grosso. Di molto grosso.
Sulle carte, il Vergari descrisse il De Pedis come un grande benefattore dei poveri, ma sapeva bene di chi stava parlando, visto che lo aveva conosciuto in carcere, a Regina Coeli. E lo sapeva anche il Cardinale Poletti che, per evitare clamori, consigliò di seppellire il cadavere al Verano e poi, in un secondo momento, di trasportarlo nella basilica. Le autorizzazioni c’erano tutte. Le ho viste, fotocopiate, filmate, diffuse in tv e ho riportato le più importanti nel mio libro: “Segreto criminale” edito dalla Newton Compton.
La vicenda De Pedis, dunque, tiene banco dal 2005 eppure, per rispondere all'interrogazione dell'onorevole Walter Veltroni, il ministro Cancellieri – che sarà pure stata informata prima di parlare – ha detto che sì, le autorizzazioni comunali c’erano e che fu Poletti ad autorizzare lo spostamento. Sì, grazie, lo sapevamo.
Basta spostarla con tutti i crismi che il caso prevede: autorizzazioni, testimoni e compagnia bella. Se lo volete fare, fatelo, invece di accampare timori. Comunque… al di là del fatto che risulta incredibile che un personaggio come Renatino sia sepolto in una chiesa, che c’entra questo con la vicenda Orlandi?
Dopo la telefonata anonima, fu un collaboratore di giustizia, Antonio Mancini, detto l’accattone, a dire che la voce di Mario, un anonimo che telefonò a casa di Emanuela Orlandi subito dopo la sua sparizione, gli ricordava qualcuno della Magliana. Azzardò anche qualche nome, il Mancini, ma non ne era certo, era invece certo che gli ricordasse qualche suo vecchio “collega”.
Poi, interrogata dai magistrati nel 2008, Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano, poi amante di Renatino, fece il nome di De Pedis e di altre persone. Descrisse, per quanto ne sapeva, come andarono le cose. Lo fece faticosamente, dato il suo cattivo stato di salute, ma lo fece e non si limitò a puntare il dito contro terzi, si autoaccusò, anche. Non è poco…
Il 19 novembre del 2009, attraverso un lancio dell’agenzia Ansa, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il pm Simona Maisto, responsabili delle indagini sul caso Orlandi, affermano: “Rispetto al precedente verbale in cui appariva un pò confusa, la Minardi ha coordinato tutto in un racconto che fila, un racconto articolato. E poi sta molto meglio”.
L’8 ottobre 2010, attraverso un altro lancio Ansa, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo afferma ancora: “Siamo convinti che la Banda della Magliana sappia che fine abbia fatto Emanuela. Per far luce sulla sua scomparsa stiamo monitorando attività passate e presenti dell'organizzazione e faremo altrettanto anche per quelle future degli ex appartenenti, di coloro che facevano parte di questa holding criminale”.
Un altro nesso, particolarmente sinistro, riguarda un padre e a un figlio che giocano ai telefonisti anonimi. Giuseppe (detto Sergione) De Tomasi, molto amico di Enrico De Pedis, in seguito a una perizia è stato identificato come il Mario che il 28 giugno del 1983 chiamò a casa di Emanuela Orlandi.
Suo figlio, Carlo Alberto De Tomasi, stando sempre a una perizia fonica, nel 2005 telefonò alla trasmissione “Chi l'ha visto?” sostenendo che per risolvere il giallo della Orlandi bisognava scoprire chi fosse sepolto nella basilica di Sant'Apollinare. Interrogati, hanno poi negato le accuse, ma le perizie restano, sono un fatto concreto. Perché padre e figlio avrebbero fatto una cosa del genere? Che importava a loro? Perché, rispettivamente nel 1983 e nel 2005, hanno messo il becco nella vicenda Orlandi? Qual era, qual è il loro interesse? Che cosa c’è dietro questa macchinazione familiare?
Non si sa. Non ancora.
Ora, se si spostassero i resti di Enrico De Pedis da Sant’Apollinare, i più gioiranno perché appare riprovevole a cattolici e non che un personaggio quale è stato Renatino sia sepolto come un benefattore. E sì che sulla sua bara, così come si evince dalle fotografie che ho mostrato e pubblicato, è appoggiata una bambolina bianca. Ma da qui a ritenere che aprendola si trovino i resti della povera Emanuela ce ne vuole. Insomma, se De Pedis c’entra con la sparizione Orlandi, non credo lo si saprà aprendo quella bara.
Come ho già avuto modo di dire, Emanuela scomparve nel 1983, Renatino fu ucciso nel 1990. Perché qualcuno avrebbe dovuto prendersi la briga di recuperare i poveri resti di una ragazzina e deporli nella bara di Renatino? Non ha senso.
E se pure così fosse stato, con il clamore che la vicenda ha avuto, chi di dovere avrebbe avuto tempi e modi per spostarla. Detto questo, manovalanza esecutiva a parte, per capire chi, a monte, ha voluto che sparisse la povera Emanuela, citofonare Oltretevere.
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