In Russia esistono le condizioni per una rivoluzione stile “Primavera Araba”?
Le condizioni ci sono. C’è una forte insoddisfazione della classe media e c’è una grande mobilitazione giovanile via internet. Nelle manifestazioni si incita platealmente alla rivoluzione, che io spero sia pacifica e non violenta. A dispetto di un regime che non perde occasione per mostrare il suo volto peggiore. La condanna a due anni di carcere per le Pussy Riot è lì a dimostrarlo. Ma grazie alla rete e alla mobilitazione mondiale, il putinismo questa volta ci ha perso la faccia. Speriamo non la recuperi.
Anna Politkovskaja è diventata un simbolo. La sua morte cosa ha cambiato?
La sua morte, anzi il suo omicidio tuttora impunito, è stato uno spartiacque. Fino al 7 ottobre del 2006 qualcuno poteva illudersi (o fingere almeno di farlo) che il regime putiniano si fosse incamminato sulla complessa strada della democrazia e del rispetto del diritti umani e della libertà di stampa.
Dopo, questo paravento è crollato.
E non tanto per l’assassinio in se (vile e terribile). Quanto per il fatto che nessuno abbia seriamente cercato di individuare i mandanti dell’omicidio e abbiano trovato solo (forse) gli esecutori materiali.
Se si vede lo sforzo giudiziario messo in campo per punire le Pussy Riot, ci si rende conto che hanno voluto non-indagare sull’omicidio di Anna. Come su quello di Natalia Estemirova e sui troppi giornalisti caduti in Russia mentre svolgevano il loro lavoro.
Anna Politkovskaja diceva di scrivere ciò che vedeva: in Italia è così che si fa giornalismo?
Qualcuno lo fa. Tanti invece, per quieto vivere, girano la testa dall’altra parte.
A nessuno è chiesto di fare l’eroe. Ma tra eroismo e codardia la scala delle opzioni è ampia…