PHNOM PENH —
Condizioni di lavoro disumane, stipendi bassissimi in cui la parola “decenza” è lontana. Gli
operai tessili più sfruttati al mondo e meno pagati in assoluto
sono in rivolta e la protesta si allarga sempre più dal
Bangladesh alla Cambogia.
In questi giorni un corteo di lavoratori della
SL Garment Processing Ltd, fabbrica rifornisce celebri ditte europee e americane come
Gap e H&M, si è diretto verso la residenza del premier
Hun Sen per chiedere che almeno i
diritti minimi siano rispettati.
Ma questa è solo l’ultima di una serie di rivolte e manifestazioni da parte degli operai tessili. A
Settembre scorso migliaia di operai sono scesi in strada per protestare in merito alle condizioni disumane cui sono costretti a lavorare.
“È notte fonda ma gli operai della Ha Meem Sportswear, un’azienda tessile di Dhaka, in Bangladesh, continuano a lavorare senza sosta. Sono in fabbrica dalle sette di mattina e quando escono, alle 2.30, sono esausti. Ma devono recuperare in fretta le forze perché tra poche ore, esattamente alle 7.00, devono tornare a lavorare. La Lidl attende che la commessa venga spedita”.
Il documentario ripreso
in segreto dai reporter della BBC Panorama che è andato in onda il 23 Settembre scorso con il titolo
“Dying for a Bargain”, “Morire per un affare” ha fatto parlare di sè.
Risale a ieri l’ultima vittima causata dalle condizioni disagiate dei lavoratori che hanno portato gli operai a scendere in piazza:
una donna è morta dopo essere stata colpita da una pallottola al petto durante gli scontri. Tra i feriti, anche cinque monaci buddisti nella pagoda dove s’erano rifugiati dei manifestanti.
Si legge su Repubblica:
“Gli operai dell’industria tessile SL Garment Processing Ltd, che conta 500 fabbriche ed esporta verso gli Usa e la Ue prodotti pari a 4 miliardi l’anno, chiedono un aumento salariale e migliori condizioni di lavoro. In Cambogia sono rappresentati da un sindacato, l’Unione democratica. Ai lavoratori del Bangladesh il governo proibisce l’organizzazione sindacale. Ancora ieri migliaia di operai bengalesi sono scesi in piazza a Savar e Ashulia, vicino alla capitale Dacca, per rivendicare un minimo salariale di 100 dollari al mese (dai 66,25 attuali): 80 sono stati feriti negli scontri con la polizia, mentre 200 fabbriche restano chiuse. Circa 4 milioni di bengalesi, per lo più donne, confezionano abiti e scarpe in condizioni miserabili: in aprile, il crollo di una fabbrica ha ucciso 1100 persone”.