Banksy. Il terrorista dell’arte

Creato il 13 novembre 2010 da Fabry2010


di Marilù Oliva
Sabina de Gregori, giovane critica d’arte che vive e lavora a Roma, ginevrina di nascita, studiosa dei linguaggi del contemporaneo e della Street Art, ha pubblicato per Castelvecchi un’indagine/ saggio/disamina su Banksy, l’artista inglese che con la sua Guerrilla Art è diventato celebre. I suoi stencil sono apparsi prima a Bristol, poi a Londra e nelle maggiori capitali europee, non solo sui muri delle strade, ma anche nei posti più impensati come le gabbie dello zoo di Barcellona e, clandestinamente, nei musei più importanti. Nonostante il mondo dell’arte lo reclami e nonostante lo star system lo adori e la stampa lo insegua, lui ha mantenuto fino a oggi l’anonimato. Ironico, pacifista e anticapitalista, ha spiegato il suo lavoro con una pennellata semplice ma inappuntabile: «Alcuni diventano poliziotti per fare del mondo un posto migliore, altri diventano vandali per farne un posto più bello».

Il mistero del personaggio e l’impermanenza del suo lavoro caratterizzano Banksy, il writer nativo di Bristol cui è dedicato il tuo libro, un testo d’arte ricco d’immagini e di riferimenti, un approfondimento scientifico ma anche un viaggio intenso nella Street-Art dei nostri tempi. Da dove nasce questa passione? Quando hai conosciuto la sua opera e perché ne sei stata calamitata?
La passione per Banksy è nata per caso. I suoi lavori mi hanno da subito affascinata e – piano piano – iniziando a studiarlo ho apprezzato sempre di più la sua unicità nel panorama della “strada”. La mia formazione artistica è di natura piuttosto “classica” e mi sono interrogata a lungo sui significati delle sue opere e sul metodo con cui era corretto affrontarli.
Le opere di Banksy focalizzano l’attenzione sui grandi temi contemporanei, sono lavori politicizzati che mirano a contestare il potere, la guerra, le multinazionali e i miti vuoti. La tecnica dello stencil li rende iconici come manifesti pubblicitari e la scelta del luogo – la strada per l’appunto – li rende proprietà di tutti.

Perché hai scelto nel sottotitolo la parola “terrorista”?
Volevo un titolo forte, che rendesse subito l’idea della prepotenza dell’arte di Banksy. L’accezione dura con cui siamo abituati ad utilizzare la parola “terrorismo” si stempera avvicinandola a quella di “arte” e si capisce che si parla d’altro. Banksy in un certo qual modo semina “terrore” e “panico” nel mondo istituzionale dell’arte e non solo, soprattutto con le sue famose incursioni nei musei più grandi del mondo e in luoghi pubblici come gli zoo. Crea scompiglio all’interno di un mondo – quello dell’arte contemporanea – regolato da leggi piuttosto ferree e prevedibili.

C’è un legame tra l’evoluzione della Street Art e il proibizionismo con cui dovette fare i conti. Ovvero: se non fosse stata vietata, non sarebbe diventata quale è oggi, sia per quanto riguarda le tematiche che le tecniche pittoriche?
Questo è certo. La street art nella maggior parte dei casi è un’azione illegale e i writer hanno bisogno di rimanere anonimi per non farsi arrestare o denunciare. E’ una questione – giusta o sbagliata che sia – di “sopravvivenza”. Proprio per queste esigenze le tecniche pittoriche si sono dovute adattare alla rapidità di esecuzione richiesta e offrire ai writers il risultato migliore nel minor tempo possibile. Questo spiega l’utilizzo della tecnica stencil, che permette allo street artist di preparare il lavoro a casa con grande precisione e di impiegare la metà del tempo che utilizzerebbe facendo un disegno a mano libera.

Come hai proceduto metodologicamente?
La prima cosa che ho fatto è stata chiedermi quale fosse il giusto metodo per approcciarmi al lavoro di Banksy e alla street art in generale. Desideravo che il libro comprendesse il punto di vista degli storici dell’arte e non solo degli appassionati all’arte di strada. Volevo che avesse un respiro più ampio. Sono andata a Bristol e a Londra sulle tracce dei lavori rimasti ma anche di quelli non più visibili, ho mantenuto con rigore uno sguardo da “storica” cercando di non tralasciare nulla della mia formazione e ponendomi (lasciando la domanda aperta a chi leggerà il libro) il quesito di come Banksy possa – e forse riesca – a inserirsi nel mondo dell’arte contemporanea come un VERO artista.

Tre aggettivi per definire l’arte di Bansky
Dissacrante, provocatoria, sfrontata

È risaputo il suo rifuggire dai media e il suo non palesarsi: «…il meccanismo (di Bansky) è sempre lo stesso: palrare di sé attraverso gli altri, senza mai mostrarsi». Cosa c’è alla base di questo rifiuto ad esibirsi?
A mio parere le motivazioni sono due: la prima è per questioni legali, la sua segretezza lo protegge dall’arresto e da qualunque genere di problema legale. La seconda è – sempre a mio avviso – una precisa mossa di marketing. La domanda che bisogna farsi è: Banksy sarebbe ugualmente famoso se tutto il mondo sapesse chi è?

Se tu lo incontrassi cosa gli diresti?
“Fammi vedere la carta d’identità!”

E lui, cosa ti direbbe?
“I’m not Banksy!”

Quali sono i tuoi artisti di riferimento?
Il mio artista prediletto è Èdouard Manet

Ci saluti con una citazione dal tuo libro?
Questa è una caccia alla volpe in perfetto stile hip pop!



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