Subito dopo la fine dell'ultimo conflitto mondiale mentre intutta Europa non è ancora iniziata la ricostruzione, l'Unione Sovietica a Berlino, sull'Unter den Linden, inaugura nel 1947 con grande sfarzo la casa della Cultura. È una grande mossa strategica e scintillante di prospettive. Gli osservatori occidentali ne restano ammirati e sorpresi, considerato il momento. In Europa mancava tutto. La gente pativa le indicibili sofferenze postbelliche. Non c'era il carbone per riscaldarsi, il cibo non si trovava, le case erano distrutte, ovunque macerie e strade impraticabili. La gente languiva sotto miseri ripari e sopravviveva come poteva. In questo contesto catastroficoil gioco di persuasione culturale comunista in territorio “straniero" inizia a prendere corpo. Nelle mire di Zdanov e del Piccolo Padre, il centro deve diventare la testa di ponte culturale con cui persuadere gli occidentali che il comunismo è la via maestra per il progresso in ogni campo della vita. Tre anni prima, nel 1944, Togliatti torna in Italia e inizia ad organizzare il partito come una grande e ben oliata macchina di persuasione culturale. L'intento del capo del partito è quello di muovere contro la borghesia come se il partito fosse un'unica forza propulsiva. Da quel momento il partito diventa un gigantesco blocco monolitico che pensa come una mente unica e agisce come un corpo solo, forte della assoluta certezza dei propri principi e ben sostenuto dai concetti che determineranno l'egemonia culturale comunista. L'assalto alle cosidette “casematte borghesi” deve avvenire sul fronte di una pervasiva ed edificante costruzione culturale che investe ogni campo della cultura: dal cinema alla letteratura, dal teatro alla pittura, alla filosofia, alle scienze. Sono numerosi gli intellettuali, professori emeriti, filosofi, critici letterari, artisti, uomini di teatro, scienziati che sono letteralmente reclutati nelle file dei comunisti per diffonderne il progetto.
Subito dopo la fine dell'ultimo conflitto mondiale mentre intutta Europa non è ancora iniziata la ricostruzione, l'Unione Sovietica a Berlino, sull'Unter den Linden, inaugura nel 1947 con grande sfarzo la casa della Cultura. È una grande mossa strategica e scintillante di prospettive. Gli osservatori occidentali ne restano ammirati e sorpresi, considerato il momento. In Europa mancava tutto. La gente pativa le indicibili sofferenze postbelliche. Non c'era il carbone per riscaldarsi, il cibo non si trovava, le case erano distrutte, ovunque macerie e strade impraticabili. La gente languiva sotto miseri ripari e sopravviveva come poteva. In questo contesto catastroficoil gioco di persuasione culturale comunista in territorio “straniero" inizia a prendere corpo. Nelle mire di Zdanov e del Piccolo Padre, il centro deve diventare la testa di ponte culturale con cui persuadere gli occidentali che il comunismo è la via maestra per il progresso in ogni campo della vita. Tre anni prima, nel 1944, Togliatti torna in Italia e inizia ad organizzare il partito come una grande e ben oliata macchina di persuasione culturale. L'intento del capo del partito è quello di muovere contro la borghesia come se il partito fosse un'unica forza propulsiva. Da quel momento il partito diventa un gigantesco blocco monolitico che pensa come una mente unica e agisce come un corpo solo, forte della assoluta certezza dei propri principi e ben sostenuto dai concetti che determineranno l'egemonia culturale comunista. L'assalto alle cosidette “casematte borghesi” deve avvenire sul fronte di una pervasiva ed edificante costruzione culturale che investe ogni campo della cultura: dal cinema alla letteratura, dal teatro alla pittura, alla filosofia, alle scienze. Sono numerosi gli intellettuali, professori emeriti, filosofi, critici letterari, artisti, uomini di teatro, scienziati che sono letteralmente reclutati nelle file dei comunisti per diffonderne il progetto.
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