Questo post serve soprattutto a me per "esorcizzare" la delusione per non essere stato presente, per svariati motivi, all'evento. Almeno sono riuscito a guardare lo streaming con le micro-presentazioni da 5 minuti della mattina del 19 maggio. L'entusiasmo, gli spunti, le idee, le suggestioni dei relatori e anche quelle che, di certo, saranno emerse durante i tavoli del pomeriggio dimostrano che c'è una grande vitalità tra gli Innovatori, risorsa importante e decisiva per ravvivare lo spento flusso di motivazioni all'interno della PA. Quest'ultima (da quella centrale, agli enti locali, al mondo della formazione e dell'istruzione) si muove e cambia rotta con la velocità di un bradipo, ma non credo potrà continuare a fare a meno in eterno dei fermenti che provengono dal gruppo Innovatori. Il nostro paese soffre di molteplici croniche contraddizioni tipicamente "italiche": da un lato il Ministro della Funzione Pubblica promuove la digitalizzazione delle PA, dall'altro vieta l'uso di Facebook in ufficio; oppure vengono premiati gli istituti scolastici (durante il convegno “A scuola di innovazione”), mentre i docenti continuano a sequestrare i cellulari ai propri alunni in aula. Due miei amici hanno partecipato e hanno contribuito con interventi puntuali ai lavori: sono d'accordo con Ernesto e con la sua declinazione dei "Dieci comandamenti dell'amministrazione digitale" (a proposito, mi ha promesso che posterà le slide), soprattuto con il quinto: "Basta con i progetti pilota e le sedi campione". Anche in questo blog, infatti, per la parte educativa, si è detto dell'importanza di chiudere la fase delle sperimentazioni sull'uso delle tecnologie nella scuola per passare a un secondo step e cominciare a ragionare sulla revisione dei curricoli, in ottica digitale. Come non condividere l'appello di Caterina (qui la sua presentazione) a non temere e vietare i social network che hanno nella condivisione di conoscenza il cuore pulsante. Spesso, infatti, trascinati da posizioni ideologiche, molti dimenticano quanto l'antropologia ci ha spiegato e cioè che l'uomo è un animale sociale: vive in un contesto, migliora o peggiora a seconda delle relazioni che costruisce, impara dagli altri e con gli altri e, contemporaneamente, insegna agli altri. I social media sono la naturale evoluzione delle modalità con cui le dinamiche sociali si sviluppano nel XXI secolo. Nella mia vita lavorativa, ho avuto la fortuna di far parte dei vari comparti della PA (scuola, università e, da poco, Regione) e posso affermare che la questione non si pone in ambito "professionale". Ci sono tanti bravi operatori che amano il proprio lavoro e sono pronti a fare i passi necessari per innovare le loro competenze e migliorare le condizioni dei servizi offerti ai cittadini. E' tempo di attuare una svolta radicale, non necessariamente in termini di infrastrutture tecnologiche (anche se il tema del digital divide è sempre attuale, ovunque), quanto piuttosto di approccio e cioè educare alla consapevolezza dell'uso dei social media (cito Caterina e sono tremendamente d'accordo con lei). Al di là di considerazioni etiche, educative, professionali, giuridiche, è una questione di opportunità. Il compito di tutti è e sarà far riscoprire e far apprezzare la bellezza di potersi esprimere liberamente, condividere, diffondere, argomentare, ma, soprattutto, avere il coraggio, se e quando si avverte la necessità, di cambiare idea.
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