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Bari/ Geopolitica. “L’india e la crisi siriana” di Federica Fanuli

Creato il 17 ottobre 2013 da Antonio Conte

Federica Fanuli, 31 anni, si laurea con 110 e Lode in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, presso l’Università del Salento, con una tesi in Relazioni Internazionali in cui analizza i pilastri della politica estera di Ahmadinejad, Presidente della Repubblica islamica dell’Iran dal 3 agosto 2005 al 3 agosto 2013: la questione ebraica e la questione nucleare. Procede i suoi studi universitari a Lecce e consegue la Laurea specialistica in Scienze Politiche, Comunitarie e delle Relazioni Internazionali, con 110 e Lode, scrivendo una tesi, in Storia dei Trattati e della Politica internazionale, sull’Amministrazione Nixon e le relazioni indo-pakistane. Nei primi anni ’70, la terza guerra tra India e Pakistan fa da sfondo alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino, grazie all’abilità politica del binomio Nixon-Kissinger di sfruttare i legami con Islamabad. Aspirante analista di politica internazionale, collabora dal 2009, come contributor settore mediorientale, con il Centro Studi Internazionali e, co.co.pro. dal 2009 al 2013, Federica ha lavorato presso una società che offre consulenza tecnica alla regione Puglia per il Programma di Sviluppo Rurale. Al momento studia per il Dottorato di ricerca in Storia moderna e contemporanea.

Federica Fanuli, 31 anni, si laurea con 110 e Lode in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, presso l’Università del Salento, con una tesi in Relazioni Internazionali in cui analizza i pilastri della politica estera di Ahmadinejad, Presidente della Repubblica islamica dell’Iran dal 3 agosto 2005 al 3 agosto 2013: la questione ebraica e la questione nucleare. Procede i suoi studi universitari a Lecce e consegue la Laurea specialistica in Scienze Politiche, Comunitarie e delle Relazioni Internazionali, con 110 e Lode, scrivendo una tesi, in Storia dei Trattati e della Politica internazionale, sull’Amministrazione Nixon e le relazioni indo-pakistane. Nei primi anni ’70, la terza guerra tra India e Pakistan fa da sfondo alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino, grazie all’abilità politica del binomio Nixon-Kissinger di sfruttare i legami con Islamabad. Aspirante analista di politica internazionale, collabora dal 2009, come contributor settore mediorientale, con il Centro Studi Internazionali e, co.co.pro. dal 2009 al 2013, Federica ha lavorato presso una società che offre consulenza tecnica alla regione Puglia per il Programma di Sviluppo Rurale. Al momento studia per il Dottorato di ricerca in Storia moderna e contemporanea.

La crisi siriana occupa la scena internazionale da più di due anni. Le prime proteste pubbliche, che hanno attraversato il paese da nord a sud, si sono rapidamente trasformate in violenti scontri armati tra l’Esercito di Assad e le milizie del Free Syrian Army, una vera e propria guerra civile, i cui ultimi sviluppi e le cruenti immagini hanno allarmato le potenze occidentali. L’uso di armi chimiche presso la città di Damasco, lo scorso 21 Agosto, una morte al sapore di gas nervino per centinaia di siriani, tra cui donne e bambini, ha aumentato il rischio di un imminente intervento armato; ma, se, da un lato, nel corso del vertice del G20, che si è svolto a San Pietroburgo il 5 e il 6 Settembre, gli Stati Uniti hanno incassato solo il consenso dei cugini francesi a punire la Siria, dall’altro, gli altri paesi europei, la Russia e la Cina si sono opposti, favorevoli ad avviare negoziati di pace1. Tra questi anche l’India, che appare quasi estranea alle priorità dell’agenda politica internazionale, eclissata dai principali attori asiatici, ha approvato la proposta di un’azione politica risolutiva, avanzata dal Presidente Putin, respingendo ogni ipotesi di operazione militare lesiva dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica del paese2.

Il voto dell’India è perfettamente in linea con la strategia della prudenza che il governo di Nuova Delhi persegue e applica sin dalle origini della questione siriana, orientandosi così verso una scelta diplomatica di basso profilo. Nell’ottobre 2011, in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’India pone l’accento sulla violazione dei diritti umani, esorta l’ingresso di una Commissione d’inchiesta nel paese e lancia un appello all’Assemblea Generale dell’ONU per una risoluzione che metta fine a ogni forma di violenza, perpetrata da entrambi gli schieramenti in conflitto; dichiarazioni che, però, si sono concluse con l’astensione dalla votazione sulla condanna al regime in virtù del principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati, ribadendo al contrario il suo impegno a sostenere Assad, incoraggiando il Presidente a introdurre riforme istituzionali e porre fine ai soprusi3. Le istituzioni politiche indiane intendono resistere alle pressioni occidentali sulla minaccia di sanzioni contro la Siria e, sebbene, nel 2012, l’India abbia approvato la risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU, l’ultimatum rivolto ad Assad per le violenze consumate a danno della popolazione innocente4, il voto indiano poco si presta alla libera interpretazione degli analisti politici. Quello che pare un cambio di guardia non coincide per niente con la volontà indiana di abbandonare Assad al suo destino o peggio, in quanto l’India è uno dei principali componenti del Movimento dei Paesi non allineati, di allinearsi agli stati occidentali, quanto piuttosto con l’importanza di tutelare certi interessi che legano il governo alla Siria5. L’inasprimento della questione siriana, infatti, non poteva avvenire in un momento peggiore per il bilancio economico indiano e ciò che preoccupa particolarmente Nuova Delhi è la destituzione della dinastia attualmente al potere, perché una guida di matrice islamica al governo rischierebbe di mandare a monte gli affari pro-indiani di Assad. La Siria non rientra tra i principali produttori di petrolio, ma, secondo l’opinione diffusa tra gli specialisti dell’alta finanza, l’intervento militare pianificato dagli Stati Uniti potrebbe danneggiare gli importatori di greggio dell’Asia occidentale6. Quasi l’80% del consumo energetico indiano dipende dagli idrocarburi della regione del Golfo Persico e se il prezzo al barile cominciasse a salire e la Rupia continuasse a precipitare verso il basso, il mercato rischierebbe seriamente di crollare. Oltre al deficit economico, quindi, che non si esclude possa produrre un effetto domino sui partner commerciali europei, benché gli investitori stranieri abbiano già ritirato il capitale collocato nelle giovani economie emergenti, come l’India appunto, che usa denaro estero per finanziare il disavanzo commerciale, esistono anche altri motivi, altrettanto importanti, tali da spingere Nuova Delhi a non infastidire Assad7.

La Siria, che condivide il principio della laicità in Medio Oriente, cioè la formazione di uno stato laico basato sul nazionalismo civile, storicamente perseguito dall’India nell’antagonismo che la lega al Pakistan, aveva offerto all’India il suo pieno appoggio per la questione del Kashmir e per la possibilità indiana di accedere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in qualità di membro permanente8. La Siria gioca un ruolo chiave nell’area mediorientale e lo spettro di una conflagrazione interna potrebbe avere un inevitabile e grave impatto sulla pace nazionale e sulla stabilità dell’intero Medio Oriente, tanto da innescare un vero e proprio conflitto regionale che vede schierati due blocchi opposti: da una parte l’Iran, il Libano, l’Iraq e i palestinesi di Hezbollah; dall’altra, Israele, la Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Una polveriera che potrebbe esplodere da un momento all’altro e avere ampie ripercussioni in tutto il Golfo Persico, conseguenze che non fanno altro che aumentare il timore indiano che l’onda degli scontri possa disseppellire dissapori interni. Sono ben oltre 7,5 milioni gli indiani che vivono nei paesi del Golfo e un eventuale conflitto potrebbe innescare flussi migratori di profughi diretti anche verso il Pakistan, con il serio rischio di infiammare le lotte tra sciiti e sunniti, avere eco in Kashmir e riaprire la ferita indo-pakistana, in realtà, mai chiusa9.

Un altro fattore che riteniamo non possa essere trascurato al fine di analizzare la strategia diplomatica indiana nell’ambito della crisi siriana e in funzione dell’apparente tranquillità nazionale indiana è l’Iran, un vicino con cui non conviene inclinare i rapporti. Se l’India aderisse alla politica interventista degli Stati Uniti contro la Siria, rischierebbe quasi certamente di scontare gravi perdite anche con Teheran. Interrompere le relazioni politico-commerciali con l’Iran, terzo esportatore al mondo di petrolio, potrebbe compromettere il complicato ruolo dell’India in Afghanistan, dal momento che non avendone un accesso diretto l’India deve fare affidamento proprio sull’Iran. Soprattutto, entrambi i paesi condividono un obiettivo comune in Afghanistan: impedire che i talebani, aiutati dal Pakistan, spina nel fianco del Subcontinente indiano, non tornino al potere10. Le sorti della stabilità regionale passano quindi anche tramite l’asse Iran-India, quest’ultima in una posizione molto delicata se si considera che Nuova Delhi stringe da più di mezzo secolo un forte legame con Israele, nemico giurato della Repubblica Islamica che frutta però un armamentario bellico di miliardi di dollari11. In un incerto panorama mediorientale, l’India gioca a fare l’equilibrista della politica. È quanto mai evidente, infatti, che Nuova Delhi sia intenzionata a praticare una politica di potenza nell’Asia centrale e nel Vicino Oriente, ad affermare il suo ruolo di importante attore regionale di fronte alla comunità internazionale, mentre punta all’isolamento del Pakistan, tanto da spingere il Primo Ministro Nehru ad esprimersi favorevolmente al piano russo che consiste nell’affidare il controllo delle armi chimiche, in possesso della Siria, alla comunità internazionale e poi procedere alla loro distruzione. L’alternativa sovietica all’interventismo americano discusso durante i colloqui tra Obama e Putin, che si sono svolti a Ginevra, un primo possibile passo verso l’esito, senza traumi, della questione. Solo gli sviluppi della situazione siriana ci consentiranno di soddisfare il quesito se il governo di Nuova Delhi continuerà a difendere i suoi interessi economici in Medio Oriente, appoggiando la vicina Russia, seguita a braccetto dal gigante cinese, disattendendo le aspettative americane, o al contrario, tutelerà i legami finanziari con gli Stati Uniti in nome della partnership strategica tra i due stati. Una partita tutta da giocare, sul campo siriano.

Federica Fanuli

Note/

  1. Cfr. http://www.corriere.it/esteri/13_settembre_05/g20-san-pietroburgo_8ca00e76-1608-11e3-a860-3c3f9d080ef6.shtml
  2. Cfr. http://www.repubblica.it/esteri/2013/09/06/news/g20_ultimo_giorno_grandi_divisi_su_siria-65992034/
  3. Cfr. http://osservatorioiraq.it/approfondimenti/siria-assad-tortura-e-uccide-anche-i-bambini
  4. Cfr. http://www.sarkaritel.com/syria-crisis-why-india-voted/
  5. Cfr. http://www.eastasiaforum.org/2012/03/08/indias-position-on-syria-a-tight-balancing-act/
  6. Cfr. http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail/?id=151242
  7. Cfr. http://www.firstpost.com/world/syria-crisis-why-india-is-wary-of-us-military-intervention-1065713.html
  8. Cfr. http://blogs.wsj.com/indiarealtime/2013/06/04/india-should-help-syria/
  9. Ibid.
  10. Cfr. http://www.geopolitica-rivista.org/23409/liran-di-hassan-rohani-conseguenze-per-la-regione-e-per-lindia/
  11. Cfr. http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/israel/10119393/Pakistan-military-technology-row-threatens-Israels-strategic-relationship-with-India.html

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