Essere tornato in Cina mi ha permesso di ampliare di molto la mia personale visione del basket cinese. L’ultima volta che ho parlato delle mie esperienze cestistiche in Cina mi riferivo unicamente al basket da playground di Pechino, mentre scrivo questi racconti sono pienamente consapevole di contraddirmi con quanto detto in altre occasioni. Con ciò, spero di darvi al meglio l’idea delle varietà che questo splendido paese offre.
Al primo giorno in Cina mi ritrovo incaricato ad organizzare la squadra di basket dello stabilimento dove “lavoro”. Causa freddo polare sono costretto ad aspettare almeno un mese prima di mettere piede in campo, dato che il campo è all’aperto (interno allo stabilimento, ogni singola fabbrica qui ha un campo da basket). Ci sono dieci operai che giochicchiano con un pallone della Spalding, mi vedono arrivare e mi propongono immediatamente di giocare con loro. Penso sia utile innanzitutto giocare una partitina 5 contro 5 per testare il livello (balle, non ho la faccia tosta di arrivare lì per la prima volta e dire “Ciao a tutti, da questo momento sono il vostro allenatore. Tre file sotto canestro palla al centro treccia andata e ritorno”).
Noto subito un bel manzo tra gli altri, metro e novanta, fisico atletico. Me lo appioppano come uomo da marcare dato che sono l’unico presente oltre il metro e ottantacinque. Ed eccolo che subito mi fa il culo. Ha un’agilità che mi risulta sconvolgente per l’altezza, buon palleggio, buoni movimenti e un gran tiro da tre. Notevole. Facendo un paragone azzardato con il mio livello, lo stanzio più o meno in una serie C2 italiana. Scoprirò più tardi che ha trent’anni e che peraltro lavora nel settore più faticoso dell’azienda. Ha giocato in nelle varie squadre scolastiche e poi in quelle aziendali. Mi consola il fatto di essere l’unico tra i giocatori a riuscire quantomeno a limitarlo. Poi però la palla mi finisce in mano e capisco subito la sinfonia: è pur sempre un playground, la difesa è un optional, anche per lui.
Giochiamo un’oretta e vedo che tranne tre - quattro elementi il livello è piuttosto basso, ma pur sempre migliore dei playground pechinesi. Un’oretta di gioco che mi basta a passare le due settimane successive in preda a raptus di tosse e naso permanentemente colante, niente basket per altre due settimane.
Quando riprendo a giocare, proseguo con l’intento di non impormi come allenatore e per altre tre settimane giochiamo ogni giorno (nel dopo lavoro), il più delle volte a metà campo. Sono contento di vedere che comunque il gioco è abbastanza organizzato e non si finisce a giocare 6 contro 6 con tutti dentro l’area. Nel frattempo il lungagnone (Jiage, il nome) continua a battermi ogni volta, nonostante tutta la buona volontà che ci metto, e riesce a segnare da 3 anche quando si alza il vento.
Ecco che martedì vengo invitato (proprio da Jiage) ad andare a giocare con loro in un campo fuori città. Da come la cosa mi è stata presentata pensavo si andasse a giocare in un palazzetto, e invece vengo accompagnato nel campetto di un villaggio fuori città. Sono sconvolto quando arrivo nel posto: il villaggio è abbastanza ricco e il sindaco è un amante del basket, così ha fatto costruire questo campetto all’aperto con illuminazione e canestri di qualità. È da notare come ogni villaggio, ogni stabilimento abbia un proprio campo da basket, mentre in tutta la città c’è solo un campo da calcio. Anche se forse la nazionale cinese non è ancora a livello delle nazionali europee, va detto che il livello del cinese medio è molto più alto del livello dell’italiano medio (che reputa i passi una cosa spiacevole del basket).
Sapendo che è arrivato lo straniero nel villaggio, la compagnia di tredicenni del posto corre subito al campo portando pure un conta punti. In poco tempo viene arrangiato un triangolare tra la squadra del nostro stabilimento, la squadra del villaggio e una squadra di amici da fuori. Potendo fare una selezione il livello si alza sensibilmente e le altre squadre cominciano a schierare almeno due giocatori sopra il metro e novanta per squadra (nessuno di eccezionalmente alto comunque). Tra gli altri sbuca il tipico personaggio subito distinguibile come “questo sa giocare e mi sa anche che allena”, che poi si rivelerà essere il Jason Williams del posto, l’unico vero giocatore del gruppo ad essere più basso di un metro e novanta. Precisazione dovuta dato che ho la netta impressione che se non sei alto o non hai doti atletiche particolari non ti venga concesso un posto nella squadra del liceo e quindi non impari a giocare se non per conto tuo.
Non avendo Jiage da difendere riesco ad esprimermi al meglio, dando probabilmente l’impressione di essere più forte di quello che sono in realtà. Il giorno dopo infatti mi verrà proposto di giocare per la squadra di un altro stabilimento (in cui gioca anche Jiage) nel torneo cittadino, ma questa è un’altra storia…
Torniamo al triangolare: lo vinciamo senza affanni grazie al fatto che la nostra squadra ha almeno due giocatori che corrono avanti e indietro anziché passeggiare (unica vera pecca nel sistema di gioco in questo triangolare, la corsa tra difesa e attacco non è prevista).
Finito il tutto, l’uomo che ha organizzato l’incontro al campetto invita tutti a mangiare al suo ristorante, dove comincia la mia vera iniziazione alla cena in stile cinese. Finisce in una competizione (molto patriottica) tra il padrone del ristorante e lo straniero a chi ha bevuto più birra, tralasciando i bachi di seta fritti e i testicoli di montone allo spiedo – nel mezzo di una cena comunque straordinaria – e tralasciando il dopo cena, diciamo così, poco cestistico.
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