Bass, brutto tempo e relax

Da Pietroinvernizzi

Quando apro gli occhi so cosa mi aspetta: pioggia. Non sto nemmeno a prendermela troppo anche perché ho finito la quota di bestemmie tollerabili per la convivenza sociale mercoledì, quando con un sorriso mi viene comunicato che avrei dovuto lavorare nel ponte… Addio ai raffinati piani alieutici mi ritaglio qualche ora per una buzzurrissima battuta antistress.
Buio, freddo e pioggia. E andiamo! Alle 6 finisco di montare la canna e mi rifugio in macchina per un improvviso cambio di marcia delle precipitazioni. Dopo una mezz’oretta di acqua battente, esasperato urlo un “Macché oh!” liberatorio. Germano Mosconi mi ascolta e fa ragionare chi di dovere: la pioggia torna a una frequenza accettabile. Esco dalla lamiera, ringrazio e mi metto in marcia.

La luce inizia a fare breccia, posso vedere distintamente il lago davanti a me e qualche cacciata mi fa ben sperare sull’attività. Inizio a sondare la fame dei residenti a gomma piombata. Qualche lancio e perdo subito un’abboccata. Va be’ dai, almeno sono attivi… L’artificiale zampetta tra banchi di alghe e scalini ancora un paio di volte e arriva una bella mangiata decisa. Dopo una manciata di secondi e un paio di salti carpiati ecco a riva un bel bass indemoniato. Rinfrancato dalla cattura proseguo nei miei uffici: lancio, fondo, strappetti strappetti strappetti, stop, fondo, strappetti strappetti strappetti, mangiata. Tira come un dannato e non salta, spero subito si tratti di un persico e infatti, poco dopo, affiora un bel tigrotto poco più piccolo di quello che ho preso settimana scorsa. Molto bene la cattura, molto male le foto. Pioggia e iPhone non vanno per nulla d’accordo, obiettivo annebbiato e rischio di bruciare il telefono con l’acqua infatti complicano ulteriormente le operazioni fotografiche in solitaria. Ma in pochi istanti riesco a fare degli scatti alla buona e tutti i pinnuti tornano velocemente a nuotare.

Il giorno è ormai fatto e le abboccate si fanno più rade quindi cambio artificiali e provo nuovi assetti per vedere se il problema sia l’esca. No, non è quello. Magari sono disturbati dalla pioggia o magari dall’altoparlante del vicino campo di volo che non capisco se stia avendo dei seri problemi oppure stia trasmettendo la registrazione di un bombardamento della seconda guerra mondiale… Mah, sarà uno scherzo da aviatori… Attacco qualche bass misura baby finché in un’ansa nascosta arriva una gran botta che mi piega il polso. Non sfriziona nemmeno perché ha mangiato quasi sotto i miei piedi. Ferro, giusto il tempo di sentirlo in canna che se ne va sereno per la sua strada. Ma chi, ma cosa, ma perché? Rivolgo queste domande alzando lo sguardo, una splendida poiana si è appena posata su un ramo appena sopra la mia testa. Infastidita dal mio piagnisteo mi rifila un’occhiata di sdegno e elegantemente vola via. Io decido di interpretarlo come un segno e aggredisco un angolo spettacolare con frasche, alghe, e tronchi sommersi. Un parco giochi per predatori!

In trance agonistica mi esibisco in un casting show che non sfigurerebbe in scena a Broadway, ma la controparte non collabora e lo spettacolo rimane un elegante esercizio di stile e niente più. Comunque non si rimborsano i biglietti. Mi butto in un canneto e rimedio un bass decisamente più bello che, complice il fondale che si inabissa velocemente, mangia anche lui quasi a fine recupero, sotto i miei piedi. Questo però non lo perdo e dopo poco il mio pollice agguanta la sua mascella. Attacco ancora qualche bassetto, perdo un paio di esche su altrettanti rami (sommersi e no…) e mi incammino verso la macchina. Arrivo a casa bagnato fradicio, infreddolito e stanco morto. E finalmente, rilassato.



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