Bassa marea (Low tide)

Creato il 10 novembre 2014 da Frankviso
Roberto Minervini
USA, Italia, Belgio, 2012
87 minuti
E' un'estate torrida. Il dodicenne "senza nome" vaga per le vie di un paesino del profondo texas; gioca con un serpentello che, sgusciatogli dalle mani, si rintana negli anfratti terrigeni arsi dal calore; disteso al sole, cerca refrigerio appoggiando la nuca su quello che rimane dei due dollari di ghiaccio acquistati al distributore automatico; lava i panni sporchi e la biancheria pregna del sudore della notte; assiste a un allenamento di rodeo e all'uccisione di un vitello.
Si dedica alla raccolta di lattine per la strada in compagnia di un vicinante (l'unico adulto -"amico"- che sembra accorgersi della sua presenza) e a sua volta, segue con sguardo distaccato, "da adulto", un gruppo di ragazzini in sella alle loro biciclette; va a pescare; asciuga i pavimenti roridi dell'acqua piovana; si prepara una cena consumata frettolosamente prima di coricarsi nel silenzio della fatiscente abitazione che, fino a questo momento, lo vede unico residente. In realtà vive con la madre, ma costei è come se non esistesse; una scriteriata che, eccezion fatta per il suo lavoro di operatrice socio-sanitaria in un ospizio, pare essersi scordata dei propri affetti e doveri di madre, preferendo rifugiarsi in una vita annegata nell'alcool degli eccessi. Una donna assente, non solo dalla vita del figlio e dalle sue esigenze (diritti), ma anche sfuggente all'occhio di una camera a mano che seguendo le coordinate di un cinema dardenneiano (non è una coincidenza, vista la collaborazione di Marie-Hélène Dozo e Thomas Gauder, rispettivamente montatrice e tecnico del suono nei film dei fratelli belga) sembra evitarne tremebonda qualsiasi dettaglio e/o accostamento più ravvicinato per continuare invece, imperterrita, a seguire i movimenti di un dodicenne prematuramente privato della sua fanciullezza e costretto a rivestire lui, il ruolo genitoriale. Roberto Minervini, autore marchigiano trapiantato negli States, con Low tide (secondo capitolo dopo The Passage di una trilogia sul Texas attenta a esplorare "il ventre molle dell'America più disagiata") inverte dunque le regole che dovrebbero costituire la naturale formazione di un nucleo famigliare, indagando con profonda sensibilità nell'animo afflitto di un ragazzino, la cui pesante carenza affettiva non può che essere colmata (come in Zephyr) attraverso il più stretto contatto con una Natura (e le sue forme viventi) che all'opposto della figura materna, è sempre presente, ricoprendone in qualche modo le veci. Pur seguendo una struttura dalla costruzione scarna ed essenziale (a partire da una componente dialogica prosciugata fino al midollo dove le parole, trovano già la loro massima espressione nello sguardo mesto del giovane protagonista), Minervini si dimostra abilissimo nel generare un parallellismo graduale tra il senso d'attesa che cresce nello spettatore, e l'esasperazione del ragazzo fino al raggiungimento del climax che anticipa il catartico epilogo. L'estremo richiamo d'attenzione "urlato" dal figlio è la dimostrazione di quanto troppo spesso ci si accorga dell'importanza e dell'amore verso una persona, solo nel momento in cui stiamo per perderla. E sarà quindi il preludio a quella bassa marea, simbolo di un'acqua persistente i cui segnali erano minuziosamente disseminati fin dall'inizio (il fiume, la pioggia, la piscina gonfiabile, l'acqua stessa che irora i campi) ma che solo nell'immensità del mare potrà finalmente fungere da elemento riconciliatorio, con la stessa intensità di un abbraccio materno, a lungo desiderato.




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