Sono alla fine dell’Italia, sono a Udine nell’autunno del 2015. Più in là ci sono l’Austria e l’estinzione. Scopro che nella capitale del Friuli hanno dedicato un giardino a Loris Fortuna, mi fa l’effetto di un asilo di Gerusalemme intitolato a Erode. Il politico udinese si è battuto più di ogni altro per introdurre in Italia il divorzio e dopo averlo ottenuto si è impegnato, con malthusiana coerenza, per la soppressione di vite troppo deboli per discuterne (feti, vecchi, malati). A proposito: a Udine è morta Eluana Englaro, la prima disabile italiana uccisa per sentenza. Siccome ha ragione Hannah Arendt (il male è banale), Udine è città molto piacevole, dove abiterei volentieri. Oltre che del Friuli e della cultura della morte, è una capitale della bellezza femminile: mai viste tante donne tanto belle, tanto alte e tanto bionde. Bevono moltissimo, a casa e in osteria, vino bianco, vino rosso e spritz, prima dei pasti, durante i pasti e dopo i pasti, le donne di Udine: forse per consolarsi della gran probabilità di arrivare alla menopausa senza diventare madri. Bevo moltissimo anch’io, a Udine: oltre ai motivi soliti, per dimenticare che la bellezza che vedo è l’ultima. (Camillo Langone, Il Foglio, 8 ottobre 2015)
Una deliziosa pagina su Facebook (non sembra nemmeno Fb, dove nulla è delizioso) titola “Togliete la penna a Camillo Langone”. Non è bastato. Righe che scatenano/eranno reazioni, ma da archiviare con uno spritz. Avesso davvero colto la verità, Langone avrebbe descritto more e bionde e rosse, alte e bassine perdute, bolle e non rossi, bolle e non bianchi, bolle e non spritz. Ma belle, sì, belle.
Archiviato dunque il Langone, il fattoèche Udine continua a pagare che qualcuno non la canti. Le canzoni rendono eterne le città. E insabbiano in fretta le cazzate scritte sulla carta perché l’ha consentito Erode.