"Competitività" è una parola strana. Chi crede poco a queste classifiche dice che non è possibile che la Lombardia sia stata superata da piccole regioni di Paesi considerati minori. Se ne può discutere, certamente. Il fatto è che il Rci 2013 prende in esame 11 indicatori e tanti parametri specifici. La fredda matematica porta poi a fare una media.
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Dico questo perché, per ovvie ragioni, mi sono preoccupato piuttosto di guardare nel dettaglio il motivo per cui la Sicilia è l'ultima delle regioni italiane, al 235° posto su 262 nell'Europa a 28. Tra Melilla e Ceuta, le città-enclave spagnole in Marocco, tanto per intenderci, e poco sopra le lontane terre d'oltremare francesi di Guyana e Réunion. Poi peggio ci sono solo regioni rumene, bulgare e greche. E allora mi sono chiesto cosa c'è dietro. Degli 11 indicatori, due sono considerati aggregati a livello nazionale, cioè la stabilità macroeconomica e l'istruzione di base: l'Italia va maluccio in entrambi i casi. Vediamo gli altri parametri. Sul versante istituzionale (governance, efficienza della pubblica amministrazione, corruzione, burocrazia) la Sicilia è 249ª. Fanno peggio solo Calabria e Campania, in Italia. Mal comune? Le infrastrutture, elemento fondamentale per definire la competitività di qualsiasi territorio, me le aspettavo persino più disastrose; posizione 194 per la mia Isola, con qualche aeroporto, i porti e una rete autostradale così così, mentre per esempio la Sardegna è messa peggio. Certo, l'obiezione è già pronta: ah, se ci fosse il ponte sullo Stretto...Vanno male, anzi malissimo, gli indicatori dell'istruzione superiore e dell'apprendimento permanente (240° posto, ma la Valle d'Aosta è addirittura 250ª!), dell'efficienza del mercato del lavoro (251 su 262, colpa della disoccupazione giovanile e femminile, dei Neet – i giovani che non lavorano né studiano, della scarsa produttività), della tecnologia (internet, banda larga, digital divide: Sicilia 239ª in Europa) e analogamente l'innovazione, intesa come ricerca e sviluppo, brevetti, pubblicazioni scientifiche: posizione numero 211.
C'è poi un "pilastro" che colloca la Sicilia al 189° posto: il market size, l'ampiezza del mercato si potrebbe dire. I parametri che lo compongono sono sostanzialmente il reddito netto disponibile delle famiglie, il Pil calcolato secondo la parità del potere d'acquisto e il fattore demografico. La Sicilia, tutto sommato, è una regione piuttosto abitata. La percentuale di lavoratori nei servizi, nell'amministrazione, nell'immobiliare, nella finanza, insieme al valore aggiunto prodotto in questi settori e al numero di lavoratori in aziende di proprietà straniera, concorrono invece a definire il parametro della "business sophistication". La Sicilia, per mia sorpresa (o ignoranza), è l'88ª regione dell'Unione europea.
Chiudo con l'ultima, magra consolazione. La mia terra è nella top 100 in un altro caso: la salute. Sembra di sentire i vecchi proverbi della saggezza popolare. "Basta che c'è la salute". Tutta l'Italia sta bene, in effetti, non solo la Sicilia con il suo 98° posto. Contano le malattie, le morti per infarto, i tumori, gli incidenti stradali, gli ospedali. E i suicidi. Stanno sicuramente peggio nell'est europeo e in parte del nord. Noi, nonostante la malasanità e gli sprechi, l'inquinamento e l'ambiente violentato, abbiamo ancora una ottima aspettativa di vita. Forse non saremo troppo competitivi, ma almeno siamo sani. Sarà perché mangiamo bene.