>>Basta miniera. Nel Sulcis voltiamo pagina

Creato il 18 novembre 2013 da Felice Monda

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“Apriamo alla dismissione della miniera: non crediamo più ai progetti promossi dai sindacati confederali – il riferimento è al sistema integrato miniera-centrale-sito di stoccaggio di cui si parla dal 1994. La nostra intenzione è quella di disegnare un futuro diverso, per la Carbosulcis e per tutto il territorio, da quello prospettato sinora, portando avanti richieste chiare e pretendendo risorse per la realizzazione dei progetti futuri: Stato e Regione hanno fallito su tutta la linea”. E’ questo il messaggio lanciato dagli oltre quindici lavoratori autorganizzati della Carbosulcis durante l’incontro tenutosi a metà ottobre nei locali della Biblioteca di Carbonia, cui hanno partecipato in cinquanta, tra minatori e cittadini. Insomma, se sono gli stessi minatori a denunciare che “su dieci chilogrammi di materiale estratto, nove sono di inerti, uno di carbone di pessima qualità”, si può ben dire che alla Carbosulcis tiri un’aria nuova.

Per questo, si è cercato di rispondere alla domanda “Che fare?” – questo il titolo del convegno, parlando di riconversione della miniera sul modello della Ruhr e di bonifiche, come di parco geominerario e di agricoltura. Insomma, parole e idee nuove per i minatori, che hanno fatto un bel salto in avanti: dalla vertenza di fabbrica alla vertenza Sardegna, passando per l’intero Sulcis. Basta, dunque, con il carrozzone inutile e nocivo che è la Carbosulcis, con gli eterni balletti Stato-Regione e i continui rimpalli di responsabilità, la totale assenza di vedute di ampio respiro che ha caratterizzato l’azione delle istituzioni. Basta anche con i sindacati confederali, che con unghie e denti rimangono attaccati a un’epoca, quella del carbone, conclusasi ormai da tempo.

Ma cos’è accaduto dal 28 agosto dell’anno scorso, da quando, cioè, i minatori hanno occupato le miniere, minacciando l’ora de “sa bravura” (l’ora dell’esplosivo)? Vale la pena ricordarlo. Com’è noto, la Regione ha continuato a sovvenzionare la Carbosulcis, in parte per evitare il tracollo della situazione, in parte per oliare quel sistema di gestione di potere, di reti clientelari che si irraggia per tutto il Sulcis e non solo. Le recenti vicende giudiziarie che hanno travolto la Carbosulcis  svelano parte di questa ragnatela. Il riferimento è a quei 40 milioni di euro spesi senza regolare gara d’appalto. Ci sono state, poi, le battaglie di retroguardia dei sindacati confederali, che hanno scelto una linea da lobby del carbone, proponendo o la priorità di dispacciamento per il carbone del Sulcis o, appunto, la realizzazione di una nuova centrale termoelettrica con tanto di sito di stoccaggio della Co2 (che in realtà nessuno vuole fare).

Insomma, i sindacati confederali si confermano i migliori amici dei signori dell’energia e dello Stato che appunto vuole fare della Sardegna un’area di servizio per la produzione di energia.  Bisogna anche aggiungere che fino all’altro giorno, i sindacati confederali – come a Taranto, ad esempio – non avevano mai parlato di bonifiche e di salubrità ambientale, ma i minatori, come gli altri operai, sono uomini che si ammalano. Specie nel Sulcis, dove a causa dell’industria pesante e dei poligoni militari si registra un’elevata incidenza di patologie tumorali. Certo, non ha aiutato il fatto che in 4 anni si siano alternati al ruolo di assessore all’industria quattro diverse personalità (La Spisa, Farris, Zedda, Liori). Piuttosto, questi continui cambi svelano l’assenza di volontà da parte della Regione di voler porre mano al problema “Carbosulcis”. E così ci troviamo all’oggi, con le due procedure d’infrazione per aiuti di stato aperte a novembre dell’anno scorso dall’Unione europea in dirittura d’arrivo.

Insomma, c’è questa spada di Damocle dell’Unione europea sulla testa, che probabilmente – almeno, cosi si vocifera – deciderà se emettere eventuali sanzioni a carico di Regione e Governo (detto per inciso, l’Unione europea non è contraria al progetto di sistema integrato centrale-miniera-stoccaggio). A proposito dell’azione intrapresa dall’Unione Europea, due sono le cose da dire. La prima è che i minatori non hanno nessuna intenzione di sottostare alla disciplina neoliberale di un’Europa che reclama privatizzazioni: in alcune aree l’intervento delle istituzioni è doveroso. Per di più, la retorica dell’Europa è mistificatoria, semplicemente perché in alcuni settori gli interventi dello Stato ci sono eccome. I salvataggi delle banche non possono essere inscritti in una cornice di questo tipo? Non si tratta forse di aiuti di stato? In secondo luogo, è vero che le procedure d’infrazione attivate dall’Ue possono, per così dire, essere un trampolino di lancio, un’occasione, cioè, per ridisegnare il futuro della Carbosulcis. La Ue dice di chiudere le miniere entro il 2018 e poi si avvieranno le bonifiche (5 anni). Per quest’operazione la Ue dice di avere pronti 250milioni di euro che potrebbero però seguire due strade a) questi soldi arrivano e costituiscono una prima base per parlare di futuro b) vengono scontati dalle somme dovute dalla Regione, che verrebbe dunque parzialmente condonate. In ogni caso, si potrebbe avere accesso ai fondi comunitari destinati alle aree minerarie dismesse, se solo venissero chiesti, ma la Regione non li chiede.

A questo punto, una prima risposta alla fatidica domanda “come se ne esce?”. Tra i lavoratori sembra riscontrare favori l’idea di trasformare il bacino minerario del Sulcis seguendo il modello tedesco della Ruhr: si tratta di un’ottima idea, che in Germania ha dato ottimi frutti e che va incontro all’esigenza di valorizzazione del patrimonio industriale, divenuto patrimonio archeologico, presente in tutto il Sulcis. E’ chiaro allora che bisogna avere un Parco Geominerario che funzioni, una reale rappresentanza dei territori all’interno del direttivo: da sempre il parco geominerario è gestito da rappresentanti dei ministeri romani che vengono in gita in Sardegna.

Un obiettivo di breve termine potrebbe dunque essere quello di ottenere la costituzione di una commissione che rediga un piano per la realizzazione di progetti simili a quelli della Ruhr. Bisogna poi garantirsi dotazioni finanziarie certe e anche una politica seria in materia di trasporti per garantire maggiori visite ai siti. Ed è chiaro che per la realizzazione di questo progetto di dismissione è necessario una quantità estremamente elevata di forza lavoro.

L’altro grande tema è quello delle bonifiche: la Sardegna è la regione più inquinata di Italia con oltre 445.000 ettari di territori contaminati da industria pesante e poligoni. Bisogna dunque porre con forza il problema generale, al momento sono stati spesi centinaia di milioni di euro per bonifiche che tuttavia non sono mai state fatte. Non ci si può certo ammalare per i profitti dell’Alcoa o morire di lavoro. Si possono poi riprendere in mano alcuni brevetti lasciati nel cassetto, come quello della lisciviazione del carbone per estrarne lo zolfo che può essere utilizzato come fertilizzante in agricoltura. Ma questa soluzione, che pure va contemplata, presenta lo svantaggio di costringere i minatori ancora al lavoro di miniera. Bisogna anche aggiungere che una soluzione di questo tipo avrebbe senso all’interno di un processo di rilancio del comparto agricolo.L’agricoltura e la pastorizia, i due comparti sacrificati sull’altare delle industrie pesanti e delle basi militari ieri e della speculazione energetica oggi, possono essere infatti  annoverate tra le soluzioni al problema. E’ poi necessario che al rilancio dei due comparti si abbinino delle industrie di trasformazione dei prodotti provenienti da quei comparti. Insomma, esistono delle possibilità di fuoriuscita dai tunnel della miniera e delle opportunità per ottenere maggiore benessere. Si sarà anche notato, però, che questo discorso opera un cambiamento della prospettiva: dalla vertenza della Carbosulcis si passa alla più grande vertenza Sardegna.Anche questo è un modo per stroncare le retoriche e i mantra di politici e sindacati confederali, che “dividono” per meglio governare.

E’ chiaro, inoltre, che questi obiettivi possono essere perseguiti con un radicale cambiamento dell’attuale classe politica: alcuni partiti (Pd, Pdl) non hanno fatto altro che accentuare la condizione di dipendenza della Sardegna, lasciandola volutamente al capezzale per poter realizzare diversi obiettivi politici, che vanno dal fare dell’isola una portaerei al centro del mediterraneo, un’area di servizio per il regolamento di conti tra capitalismo italiano (Enel, nel caso specficico) e imperialismo americano (vedi i 3 miliardi e mezzo di incentivi offerti all’Alcoa per abbattere il costo dell’energia). *

pubblicato su: http://comune-info.net/

link articolo: http://comune-info.net/2013/11/basta-con-la-miniera-nel-sulcis-voltiamo-pagina/

fonte: Portale di informazione dai territori in movimento arrexini.info

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