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Siamo rimasti indietro di 25 anni. L’Italia di oggi è la prosecuzione ideale dell’Italia del 1988. Un’Italia pre-caduta muro di Berlino, un’Italia dominata ancora dal pentapartito, un’Italia figlia del boom drogato dal debito degli anni ’80, un’Italia già corrotta e in crisi… pur non sapendo di esserlo.
A tracciare il drammatico paragone è stato addirittura il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco, nelle Considerazioni Finali di venerdì scorso. L’analisi di Visco è impietosa, e tratteggia il fallimento di un’intera classe dirigente “zerotitoli”: ”non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni”. Basterebbe questa semplice frase per mostrare il cartellino rosso a un intero sistema-Paese, che ha affossato quella che un tempo era la nazione del boom economico. Una classe dirigente provinciale, inetta, corrotta fin nel midollo, impegnata solo a spolpare l’osso, senza preoccuparsi di disegnare strategie per il futuro. Impegnata solo a produrre replicanti, sottoforma di raccomandati o cooptati, capaci unicamente di peggiorare ulteriormente il modello gestionale del Paese. Anche perché persino più mediocri di chi li aveva prodotti.
Intanto i migliori giovani outsider emigravano a decine di migliaia. Non da ieri. Ma da almeno 15 anni. E non solo ricercatori: a emigrare sono state tutte le categorie professionali.
Visco prende atto del fallimento e incalza: ‘non bisogna avere timore del futuro, del cambiamento. Non si costruisce niente sulla difesa delle rendite e del proprio particolare, si arretra tutti. Occorre consapevolezza, solidarieta’, lungimiranza‘‘.
Fuori dai Palazzi, la situazione appariva sempre più fuori controllo: le ultime stime sulla disoccupazione giovanile facevano segnare un record assoluto, col 40,5% di giovani senza lavoro ad aprile. Un ulteriore segnale di una situazione ormai emergenziale. Una situazione al limite, frutto -ancora una volta- del fallimento totale di un intero sistema di potere. Ancora più che della crisi. Siamo onesti…
In quei giorni, e nei giorni successivi, la politica ha provato a lanciare segnali positivi. Segnali che qualcosa è realmente cambiato. Che ora il problema della fuga dei talenti (vogliamo smetterla una volta per tutte di chiamarla “dei cervelli”? Non si tratta solo di ricercatori, qualcuno lo vuole capire?) è un problema nell’agenda del Governo e della classe dirigente che sta provando a traghettare l’Italia fuori dalle secche.
“La fuga dei cervelli dal nostro Paese e’ una perdita secca per l’Italia, anche perche’ l’Italia si accolla il costo della formazione di questi giovani fino alla laurea, e poi deve deprivarsi di queste fondamentali energie“, ha dichiarato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Tg5. Parole che fanno il paio con quelle, altrettanto recenti, del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi.
Si è spinto oltre il premier Enrico Letta, primo firmatario della Legge Controesodo per il rientro in italia degli under 40 espatriati per motivi di lavoro o studio. Rispondendo a un lettore del quotidiano “La Stampa”, che aveva condensato in una bellissima lettera tutta l’amarezza per l’imminente addio a un amico in partenza per Singapore, Letta ha risposto: “ai giovani devo prima di tutto delle scuse. Le scuse a nome di una politica che per anni ha fatto finta di non capire e che, con parole, azioni e omissioni, ha consentito questa dissipazione di passione, sacrifici, competenze. L’ho detto nel mio discorso per la fiducia alle Camere: siamo tutti coinvolti. Perché la rappresentazione che Antonio fa di noi è dolorosamente vera. Perché quando a generazioni intere vengono strappate la speranza e la fiducia – non d’impeto, ma peggio ancora: lentamente, giorno dopo giorno – non c’è alibi o dissociazione personale e politica che tenga”.
Riconosciamo a Letta un merito: appena insediato ha portato in Europa la bandiera della lotta contro la disoccupazione giovanile. Lo ha fatto nell’interesse continentale, ma con un chiaro occhio di riguardo rivolto alla disastrosa situazione italiana.
A Letta lanciamo un messaggio: le scuse a nome di un’intera classe dirigente politica zerotitoli possono essere gradite, ma non sufficienti. Dopo aver creato lavoro, dopo aver fatto tornare i nostri giovani talenti dall’estero (se mai ci riusciremo), occorrerà un ultimo, fondamentale passo. Mi rendo conto di quanto sia sgradevole, per una buona parte della attuale classe dirigente. Ma è un passo necessario e fondamentale: eliminare e fare piazza pulita di quella pletora di inetti, raccomandati e cooptati che siedono in troppe stanze dei bottoni. Senza quest’ultimo necessario passo, tutti i precedenti si riveleranno inutili. Rischieremmo solo di tornare, come nel gioco dell’oca, alla casella di partenza. Che, per l’Italia, significherebbe l’anticamera del baratro.
Back to basics: al primo posto la meritocrazia… per tutto il resto non ci deve essere più posto.
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