Bastia, Bestia, Bastiani: arrivano i Tartari

Creato il 30 giugno 2015 da Pupidizuccaro

Nominato idoneo, Marco Bisanti partì una mattina di giugno dalla città per raggiungere la fortezza Bastia Umbra, sua prima prova di concorso. No, mi sono confuso. Ecco lo spartito originale: Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione. Sì, questo è l’incipit giusto. Le assonanze a volte ti portano dove vogliono loro. Qualche collega giornalista ha pensato di esorcizzare il test che ci aspetta domani – prima tappa per portare da 5000 a 100 l’ingresso in Rai di nuovi cadetti catodici – uscendosene con la Bestia Umbra; a me è venuto in mente di trovarmi nella fantasia di Dino Buzzati.

E mi sono detto aspetta, ma se, al contrario dell’ufficiale solitario che troverà aperte le porte della Fortezza, noi saremo tanti e cercheremo di espugnarle, le torri del quizzone Bastiano, sì insomma, non è che i Tartari siamo noi? E cosa vorrebbe dire? Essere uno dei Tartari dovrebbe almeno garantire dal male dell’infinita attesa che fa languire le vedette, votate all’unico gesto che nessuna urgenza impone mai di compiere. Eppure, in mezzo alle due figure c’è lo stesso deserto. E se la vedetta resta a lungo in attesa è perché anche i Tartari aspettano qualcosa, prima di sferrare l’attacco alla fortezza.

Così anche la vita di chi terrorizza le guardie con la minaccia di sconfinare – sarà anche più varia, meno noiosa – è piena di attesa. Non sarà un’attesa protetta e capace di imbastire miti e leggende, o spostare eserciti sulla comparsa appena vaga di un lumicino nella notte incavata che fugge al binocolo: tanto più che, ad accendere quel lumino, in quel momento dovrei esserci proprio io, in quanto tartaro, il che non mi lascerebbe tempo per divagazioni analoghe. Ma resta comunque fatta di attesa, la vita di noi Tartari. Mi chiedo allora cos’è che aspettiamo: a noi non viene incontro nessuno. Siamo noi gli invasori. Forse però la vera domanda è un’altra: vogliamo davvero invadere la città, o siamo solo gelosi della vista sul deserto che c’è dalla torre, dove vogliamo piantarci anche noi?

Dopo la notizia del concorsone ho ironizzato sulle mie scarse probabilità di riuscita tirando giù delle critiche per come è stato organizzato e mettendo dentro tante cose che dentro, forse, non ci stavano. In una parola, l’ingiustizia di questo mondo del lavoro che non c’è e della cruna assottigliata in cui si spera di passare, per sconfinare nel paradiso dei regolari e tutelati (è questa la città da invadere, o questa è solo la torre?). Poco dopo, comunque, le dinamiche grottesche del social network mi hanno depurato dalla prima antipatia sindacale per i mandriani che apriranno il cancello ai tori con le corna più dure.

Le esagerazioni di chi ha rimarcato le ingiustizie infatti mi hanno fatto capire che in fondo questo concorso conferma solo la durezza del momento, testimoniando le legittime frustrazioni di chi è ancora a spasso, che però si limitano a essere, appunto, avvilimenti facilmente cavalcabili dai giustizieri del volemose bene ci penso io a tutelarvi (vota Antonio, vota Antonio). La gente che deve fare sacrifici per arrivare, quelli che dovrebbero rinunciare al lavoro per fare il test, quelli che non hanno tempo di studiare, quelli che ormai è troppo tardi ma ci provo, quelli che se non lo faccio i miei mi perseguitano, quelli che studiano anche la notte per passare, quelli che alla fine rinunciano, quelli che la prendono come una gita e magari conosceranno il partner della loro vita, quelli che ci vanno per piantare grane e così via, in fondo, appartengono all’antichissima tribù dei concorsisti che annovera già tutte le fattispecie. Soltanto per il calcolo delle probabilità di successo, parlate con un laureato in Legge e fatevi raccontare cos’è il concorso in magistratura, per dirne una. Dice, ma quelli sanno la data del concorso mesi prima e possono prepararsi, mentre noi abbiamo avuto poco tempo: l’ho detto e lo riconosco, è sempre più dura e l’organizzazione in questo caso è già stata di per sé una prima selezione. Cento però passeranno, in base a una selezione la cui trasparenza è impugnabile da chiunque, almeno negli scritti; certo, con gli orali a porte chiuse (fu la mia esperienza nel 2008) il giudizio si fa più soggettivo e meno impugnabile…

Chi passerà, comunque, si trasformerà da tartaro in sentinella. La domanda, di nuovo, è se piazzandosi su quella torre continuerà a tenere il suo amore fisso per la città che difende o non lo riserverà invece alla sola torre in cui aspetta la discesa dei Tartari restando nel gioco di specchi fra le due parti, che è la reciproca creazione di miraggi: i Tartari, nell’accensione notturna dei fuochi nomadi, guidano i sogni di chi, al sicuro sulla torre, aspetta di difendere la propria città dall’invasione; le sentinelle, nella strenua fissità dei loro giri sulle torri, guidano i sogni di chi, sempre in cerca dell’acqua nel deserto, aspetta di conquistare la città definitiva. Il rischio per entrambi è che l’amore per la città venga oscurato dall’amore per la torre. I Tartari che domani falliranno l’assalto alla fortezza troveranno un’altra strada per conquistare la città, ne sono sicuro. L’importante è conoscerne il nome. Forse per questo Buzzati non osa scriverlo: per ognuno la città definitiva ha un nome diverso e qualunque attesa, sulla torre o nel deserto, è solo attesa di ri-conoscere quel nome.


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