Bastogne di Enrico Brizzi , la post-recensione

Creato il 08 luglio 2014 da Postscriptum


Bastogne sta alla letteratura italiana quanto Trainspotting sta a quella britannica. Brizzi come Welsh, entrambi bravi a raccontare una generazione nella generazione, un’aberrazione della crescita che si nasconde nell’ombra e dall’ombra assorbe l’oblio: in questo caso, distorcendo un po il senso di un detto celtico, lontano dalla luce non c’è l’ineffabile splendore ma l’assoluta perdita d’umanità e il mostro oscuro che vive in quel luogo è lo stesso che potremmo trovare seduto accanti a noi sul bus tutte le mattine.


C’è anche molto Arancia Meccanica nel romanzo di Enrico Brizzi, c’è la cultura dei drughi intesi come compagni di avventura nell’orrendo circo che può diventare la vita, specie se i genitori, le sempiterne guide nella crescita di ciascun individuo, prendono le distanze per dedicarsi ai fatti propri. La prole in questo caso sceglie come genitore il quartiere-pancia, come lo definisce lo stesso autore, che ingloba le perplessità esistenziali di un’intera generazione in evoluzione e le trasforma in trucchi, metodi sistematici e protocollari del tutto inconsci per venirne fuori con un accettabile livello di sanità mentale.
Viviamo da sempre – dice uno dei protagonisti della storia – per le stesse strade del quartiere immobile che a miglior diritto dei nostri rispettivi parenti, non altrettanto amorevoli, potrebbe sul serio vantarsi di averci partorito e fatto crescere.
Il problema semmai è che il risultato di questo essere mitologico metà uomo e metà quartiere, cresciuto con e per le leggi della strada, finisce per essere un predatore, sempre a caccia di una vittima che, incautamente, si avvicina alle sue grinfie attirata da quell’alone di mistero che molte persone portano con se come un vestito. Molti di questi come un’armatura utile e al tempo stesso terribile.

Continua il nostro personaggio: Siamo la frangia irrecuperabile di una battaglia che non si poteva nemmeno cominciare, siamo l’insensatezza, lo sradicamento, la violenza. Ed è per noi una bandiera fare vita da guerrieri metropolitani…Sono debolezze forse, ma ci si continua a radunare intorno a quelle vecchie icone e modi di dire, ci si identifica meglio…

Siamo a Nizza, poco ridente cittadina francese a pochi chilometri dalla Costa Azzurra, insieme a Ermanno Claypool, Raimundo e Dietrich Lassalle, un gruppo di giovinastri dediti a ogni tipo di attività pseudo-criminale, al consumo di forti dosi di stupefacenti e talvolta, se resta tempo, anche a qualche lavoretto onesto. D’improvviso arriva il mitico Cousin Jerry, vero e proprio cugino dell’Ermanno e praticamente mega-calamita per disastri d’ogni tipo. Dall’arrivo del Cousin niente sarà più lo stesso e tutto tenderà più o meno linearmente verso un epilogo che, come capirete man mano che leggerete il romanzo, non potrà mai essere il classico e vissero tutti felici e contenti.

La voce narrante è Ermanno che ci presenta subito il cugino Jerry come un monumento vivente alla vita dispari prima di partire con il racconto di poco meno di dieci anni di vita trascorsa tra feste in cui abbordare ragazze da portare a letto e in cui vendere quanta più droga possibile, momenti di paranoia estrema, crimini d’ogni tipo e la grande fuga tipica delle storie come questa.

Con Bastogne, cronologicamente il secondo lavoro di Brizzi dopo l’ottimo Jack Frusciante è uscito dal gruppo, entriamo in un mondo che la critica italiana ha definito pulp: un universo di violenza totalizzante spesso usata come unico mezzo di comunicazione; parliamo di un romanzo assai crudo nelle immagini che in alcuni passaggi ci sgomenta a tal punto da ritornare a leggere la copertina per accertarci di leggere davvero un libro di Brizzi. Sorprendente nella sua onestà narrativa ma anche tagliente nel presentare una generazione che non solo non ha valori e ne rifugge qualsiasi contatto ma che, cosa ancora più grave, distruggerebbe i valori stessi se fossero delle cose materiali, li stuprerebbe senza pietà se fossero ragazze e li ucciderebbe in malo modo se solo gliene fosse data occasione. Gli stomaci deboli forse potrebbero non reggere ad alcuni passaggi parecchio crudi e forse ci sarà anche qualcuno che poi non si sgomenterà più di tanto ma, se Irvine Welsh aveva trasformato un gruppo di spiantati tossici inglesi in simpatiche canaglie che un risolino te lo strappavano tra un capitolo e un altro, Brizzi dipinge dei mostri veri e propri che, personalmente, preferirei non incontrare mai.


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