Batman al cinema: una carriera di alto profilo – Seconda parte

Creato il 19 novembre 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

La decadenza: il dittico di Schumacher

L’episodio successivo, Batman Forever (1995), segna diversi cambiamenti. In primo luogo il regista non è più Burton, ma il più “normale” Joel Schumacher, capace regista di lungo corso con un curriculum – prima e dopo i Batman – nutrito e non privo di meriti (il fascinoso horror metafisico Linea mortale, per esempio, o il torrido e vendicativo Un giorno di ordinaria follia con Michael Douglas). In secondo luogo l’interprete principale non è più keaton ma Val Kilmer, attore allora all’apice di una carriera che non sarebbe mai davvero decollata. L’approccio alla materia è più apertamente leggero e colorito: permangono tracce burtoniane (Burton è comunque produttore), ma ogni inquietudine è bandita. Schumacher asciuga il grottesco di Burton con un approccio più diretto e piano, anche se naturalmente gli eccessi produttivi non mancano e si traducono in un sovraccarico visivo a volte gradevole, ma più spesso stucchevole. Le scene d’azione sono comunque generalmente ben condotte e adeguatamente dinamiche.
L’inizio è sulla travolgente lotta di Batman (Val Kilmer) contro Due Facce (Tommy Lee Jones), uno dei “cattivi” classici del fumetto: si tratta della mutazione criminale del probo procuratore distrettuale Harvey Dent, reso deforme a metà dall’acido e impazzito di conseguenza1. Gli sforzi vendicativi di Due Facce – singolare criminale che si affida totalmente (o quasi) al caso e alle decisioni di una moneta lanciata in aria – si incrociano con quelli del dottor Edward Nygma (Jim Carrey), uno scienziato tanto geniale quanto deviato che, elaborata una macchina per la manipolazione cerebrale, diventa presto un super cattivo con il nome di Enigmista.
In questo film compare per la prima volta Dick Grayson (Chris O’Donnell), unico sopravvissuto di una famiglia di acrobati perita per mano di Due Facce. Dick viene accolto dal comprensivo Bruce Wayne e diventa ben presto Robin, ma è guidato dalla cieca vendetta, per cui Batman deve cercare di farlo ragionare. Nella vicenda si inserisce anche la bella psicologa Chase Meridian (Nicole Kidman) che si innamora di Batman, mentre Bruce Wayne si innamora di lei. Ovvio che le cose prima o dopo si sistemino. Nicole Kidman è sempre affascinante, ma il suo personaggio è indefinito, poco ficcante.


Jim Carrey è abbastanza vivace come enigmista ma Tommy Lee Jones non riesce ad andare oltre una coloritura di maniera nel tratteggiare Due Facce. Val Kilmer è un Bruce Wayne al limite dell’inconsistenza, quasi catalettico, al punto da far sembrare quello di Michael Keaton un esempio di brillantezza e dinamicità. Il Robin di Chris O’Donnell risulta invece una sorta di incongrua riedizione della Torcia Umana come vista nei fumetti Marvel e (non) vista nel film nascosto sui Fantastici Quattro2 Adolescenzialmente oppositivo e irragionevolmente isterico, è un personaggio poco gradevole e sostanzialmente irritante.
Il film, nel complesso, non convince troppo: ha i suoi momenti di divertimento e di spettacolarità, ma la storia ha poche frecce al suo arco ed è troppo prevedibile per intrattenere.
Il botteghino però mostra piccoli segni di ripresa risente: il budget cresce a 100 milioni di dollari, ma gli incassi mondiali lordi salgono a 336 milioni di dollari.

Batman & Robin (1997) è di nuovo diretto da Schumacher, che prosegue nella direzione di un alleggerimento dei toni. Le scene d’azione, in particolare, ricercano l’ironica leggerezza di quelle del film del 1966, ma non la trovano: il divertimento resta un po’ vuoto, anche se ipercinetico. La grottesca cupezza di Burton, comunque, è del tutto svaporata.
Mr. Freeze (Arnold Schwarzenegger) è un cattivo di maniera: la sua capacità di ghiacciare tutto è abbastanza scenografica, ma narrativamente poco stimolante. A Freeze – un geniale scienziato vittima di un incidente – serve il freddo intenso per sopravvivere: la sua tuta criogenica lo mantiene perciò a zero gradi. Per farla funzionare, però, Freeze necessita di diamanti. Da cui i furti.


Poison Ivy (Uma Thurman) nasce anch’essa da una scienziata, una dottoressa brutta e dedita alla causa della pace, che diventa una super cattiva dedita a perorare il predominio della Natura sugli uomini. Uma Thurman è sufficientemente vamp e sufficientemente strana come Poison Ivy, ma il personaggio, giocato fin troppo sulla caricatura, non è mai davvero minaccioso come almeno in parte dovrebbe invece essere per dare qualche credibilità alle sue azioni.
Barbara (Alicia Silverstone) è invece la giovane figlia della sorella di Alfred e, giunta a passare una vacanza con lo zio maggiordomo, scopre senza troppa difficoltà il segreto di Batman3, divenendo a sua volta in breve Batgirl con lo scopo dichiarato di affiancare Batman e Robin nelle loro imprese.
In questo film, la fidanzata di turno di Bruce Wayne è la volutamente incolore Julie, pura figura decorativa4. Bruce Wayne è stavolta interpretato da un simpatico George Clooney forse fin troppo bondiano, ma comunque ironicamente affascinante: sicuramente un miglioramento rispetto all’incolore Val Kilmer.
La storia è però sempre più esile e scontata, mero contenitore di scene d’azione ricche di vuoto dinamismo. Conseguentemente il film è anemico, senza anima.
Robin acquista ancor più peso narrativo, ma resta un personaggio sostanzialmente insopportabile: isterico e geloso, fa rimpiangere il Robin naif di Burt Ward.
Il clima è irreale; di quella irrealtà vanesia e leggera tipica di molti fumetti di super eroi degli anni precedenti: Gotham sembra un teatro sempre più banale di avventure sempre più fiacche. Le scenografie, benché meno caratteristiche di quelle del periodo burtoniano, sono comunque ricche e rutilanti.
Come già accennato, l’idea alla base di questi ultimi due film sembra quella di togliere a Batman tutta la cupezza e il grottesco che Burton gli aveva dato e di tornare alla leggerezza della serie televisiva e del film del 1966, ma l’operazione è compiuta senza l’ispirazione, la consapevolezza, l’autoironia e l’umorismo di quei lavori e ciò che resta è un giocattolone gonfio e con poco senso.
La famosa legge degli incassi decrescenti (e, in questo caso, si potrebbe aggiungere anche della qualità decrescente) si fa sentire: questo film incassa solo 238 milioni di dollari in tutto il mondo a fronte di un budget salito a ben 125 milioni di dollari e perciò alla serie viene posta momentaneamente fine. Necessita una ripartenza da zero. Un reboot, come si usa dire adesso.

 La nuova e oscura serie firmata da Christopher Nolan

Tutto nuovo, tutto diverso. Come era avvenuto nel primo film della serie precedente, viene prescelto un regista assai personale e sulla cresta dell’onda come Christopher Nolan per dargli in mano la franchise.
Batman Begins (2005) non è solo un nuovo inizio, è una completa rivisitazione del personaggio, con un’attitudine completamente cambiata. La leggerezza scompare sostituita da una cupezza che non è grottesca come nell’epopea burtoniana, ma è melodrammatica (e diventerà, negli episodi successivi, il più possibile realistica). Le origini del personaggio vengono modificate e Bruce Wayne non diventa Batman per una sua idea, ma dietro suggerimento esterno. Lo spunto motivazionale esotico-orientale ricorda The Shadow (e in parte anche Doctor Strange o, se si vuole, Mandrake) e questo non è particolarmente un bene, per quel tanto di risaputo che ormai vi è in un concetto del genere. Ma Nolan prende in mano la franchise con l’intento di apportarvi modifiche sostanziali, di personalizzarla e perciò è ovvio che per qualche colpo andato a segno possa essercene qualcuno (parzialmente) a vuoto.
Bruce Wayne (Christian Bale), orfano dei genitori e ricco erede, ha abbandonato Gotham City e la ricchezza perdendo ogni scopo nella vita e finendo in una pericolosa e autodistruttiva marginalità. In Oriente, il saggio e misterioso Ducard (Liam Neeson) lo recupera e lo aiuta a ritrovare la sua strada attraverso la mistica orientale, in una setta guidata dal carismatico Ra’s Al Ghul (Ken Watanabe): la cosiddetta Setta delle Ombre, che attraverso un poco comprensibile ragionamento filosofico intende distruggere Gotham City per salvarla dal male in cui è precipitata. Se vogliamo, una sorta di idea alla Sodoma e Gomorra, ma senza la medesima pregnanza mistica.
In questo modo, Nolan non solo esagera nell’enfasi melodrammatica, ma perde un sacco di tempo a raccontarci il perché della scelta di Bruce Wayne, che quindi diventa Batman molto in ritardo rispetto al metraggio del film. Nel farlo, Nolan cerca di approfondire le motivazioni di Bruce – che peraltro restano piuttosto banali – e di rivisitarle per trovare qualche significato filosofico in quella che era e resta soltanto l’applicazione ragionata di un semplice meccanismo di azione-reazione, di torto e vendetta. Temperato, certo, dalla ricerca di una vera giustizia che trasforma un vendicatore in un paladino del bene, o giù di lì, ma la sostanza non cambia molto. Anche l’addestramento nelle arti marziali e nella loro filosofia è di sostanziale banalità, già visto e rivisto in molti altri film. L’averlo posto alla base della creazione di Batman appesantisce e non rivitalizza il personaggio. Il tentativo è chiaramente quello di un approccio serissimo per cercare di andare alla radice delle cose, ma in questo primo film gli equilibri narrativi non vengono trovati. Si capisce che lo scopo è quello di spiegare in modo credibile la transizione tra vendetta e giustizia, ma la sovrastruttura è eccessiva nei tempi dedicati e troppo banale per raggiungere lo scopo.
Detto questo, la ribellione di Bruce all’estasi mistica e sacrificale della Setta delle Ombre è una svolta interessante e può alla fine rappresentare un degno presupposto della creazione di Batman. Inoltre, per quanto sia lunga e poco avvincente, questa parte “orientale” è un elemento che tornerà alla luce nell’episodio conclusivo della trilogia e in questo senso possiede quindi una giustificazione narrativa: poteva essere abbreviata, ma resta significativa nell’insieme del racconto.
Quando la vicenda arriva a Gotham City, si fa la conoscenza con Carmine Falcone, un boss della mala, ma molto tempo viene anche dedicato alla creazione della batcaverna e di tutte le sovrastrutture batmaniane. Anche qui, si fa come se nessuno spettatore ne sapesse niente e ciò, se può aiutare i neofiti, annoia un bel po’ chi già ha qualche conoscenza anche superficiale del personaggio. Lo scopo è dare maggiore realismo, ma così facendo si appesantisce la narrazione e si perde di vista il vantaggio delle ellissi che permettono di bypassare i tempi morti.
Morgan Freeman interpreta Lucius Fox – uomo di fiducia di Bruce Wayne all’interno della Wayne Enterprises – come se fosse una specie di Q bondiano incardinato nella struttura societaria: è lui, a partire da una struttura tecnica segreta, a dotare Bruce Wayne di tutti i gadget utili nella lotta contro il crimine. Il vero cattivo – lo psichiatra malvagio con la maschera mostruosa e cangiante a seconda delle ossessioni di chi la guarda – è un po’ fiacco. Il guru Ra’s Al Ghul è indicato dallo psichiatra come il boss, ma a questo riguardo ci sarà una sorpresina verso la fine.
La sceneggiatura cerca di popolare il racconto di dialoghi che mirano alla “profondità”, ma quasi mai la trovano, trovando invece spesso l’enfasi. Il cambiamento rispetto ai film di Schumacher è comunque netto, ma il film è lento, sovradimensionato e sovraccarico rispetto alla storia in fondo esile che ha da raccontare. Alcuni elementi sono inoltre poco centrati: il fatto, ad esempio, che i pipistrelli intervengano in aiuto di Batman, a un certo punto, è una trovata scenografica interessante, ma totalmente senza senso.
La batmobile è invece una sorta di curioso carro armato agile e potente, una variazione simpatica. L’inseguimento in auto è decisamente spettacolare e ben condotto.
L’introduzione del personaggio di Rachel (Katie Holmes), assistente del procuratore distrettuale, è funzionale, ma in questo caso poco significativa: fiamma adolescenziale di Bruce Wayne conosce il segreto della sua doppia vita e rappresenta – in modo però un po’ meccanico e poco giustificato – il fulcro del dilemma tra le due identità di Bruce, che per arrivare a lei dovrebbe rinunciare alla sua parte nascosta. Un punto di forza è rappresentato dall’intensa interpretazione di Christian Bale, oltre che da quella efficiente di Michael Caine nel ruolo di Alfred.


Il tentativo di Nolan è quello di prendere sul serio il personaggio – Batman è torvo, il clima è tetro – e di farlo prendere seriamente anche agli spettatori, senza concedere nulla all’ironia e alla sospensione dell’incredulità tipica del fumetto e del cinema supereroistico. è un rischio notevole che non sempre paga, ma l’averlo corso è meritevole di stima. L’aver fatto parlare Batman con voce artefatta e irragionevolmente cavernosa però rema contro questo tentativo di realismo e sfiora il ridicolo involontario.
L’esito al botteghino è discreto e questo consente alla serie di proseguire: l’incasso mondiale lordo è di 374 milioni di dollari, con un sontuoso budget di 150 milioni di dollari.

Il capitolo successivo segna un deciso miglioramento, come se, dopo un avvio stentato per la necessaria messa a punto (soprattutto delle ponderose premesse), la macchina avesse trovato il modo di funzionare a puntino. Il cavaliere oscuro (2008) mette in mostra sin dall’inizio un meccanismo narrativo che, nonostante la lunghezza, è oliato, avvincente e ricco di idee. La sequenza iniziale con la rapina e le progressive eliminazioni dei banditi tra loro è ottima, gestita con brio, vivacità, sarcasmo e intelligenza. Nolan inserisce bene Batman all’interno di una trama gangsteristica atipica e l’introduzione degli imitatori dell’uomo pipistrello è un tocco simpatico e curioso che vale anche a rafforzare l’effetto simbolico del personaggio all’interno del tessuto sociale.
Viene introdotto il personaggio di Harvey Dent (Aaron Eckhart), procuratore distrettuale ambizioso ma al tempo stesso onesto e dedito al trionfo della giustizia. Diversamente dalla serie precedente, Dent viene molto approfondito dal punto di vista psicologico e ampio spazio viene dato alla sua figura ben prima che diventi Due Facce. In questo modo, Dent diventa una sorta di alter-ego di Batman, la faccia “normale” della lotta per la legalità: lui è la persona che potrebbe risolvere in modo corretto e ordinario i problemi che un personaggio oscuro e segreto come Batman è costretto a risolvere in modo straordinario. La vittoria di Dent sul crimine sarebbe quindi la dimostrazione che tutto è tornato nella normalità, come dovrebbe essere in una società sana, e che non c’è più bisogno che un giustiziere mascherato si faccia carico delle carenze della giustizia ordinaria. Per questo, lo stesso Bruce Wayne appoggia Dent, nonostante il procuratore sia l’attuale fidanzato di Rachel (Maggie Gyllenhaal), la vecchia fiamma che Bruce non si è ancora rassegnato a perdere. Nolan evita di ricorrere a schematismi caratteriali e fa in modo che Dent emerga come un personaggio sfaccettato e positivo, realistico nelle sue reazioni umane. In fondo anche quando viene sfigurato e, sostanzialmente, si trasforma in Due Facce (pur senza diventarlo ufficialmente), mantiene una logica, ancorché deviata, nelle sue azioni. La drammaticità del personaggio di Dent è ben giocata e anche la chiusa della sua parabola con il coinvolgimento “passivo” di Batman ha una buona forza simbolica: proprio perché è un simbolo positivo nella sua ordinarietà, la figura di Dent non è rinunciabile e non deve essere sporcata.


Il cattivo di questo film è il più classico dei cattivi batmaniani: il Joker, che un ispirato Heath Ledger rende in modo meno funambolico rispetto a Jack Nicholson, ma più psicopatico e realisticamente minaccioso, proprio per la stranezza e imprevedibilità dei suoi fini e dei suoi ragionamenti. La filosofia del Joker è esposta con ingegnosità e risulta credibile nella sua lucida follia.
Rispetto all’episodio precedente c’è un evidente cambio di passo: il film è più teso, più tenebroso, più realistico e meglio raccontato. Il ritmo è sostenuto: nonostante la consistente durata del film non si avvertono momenti di particolare stanchezza. L’azione è dinamica e ben gestita. Il confronto tra Batman e il Joker ha toni violenti e drammatici sostenuti e credibili. La storia è molto articolata e non perde mai la presa sugli spettatori, con sufficienti svolte narrative da mantenerla sempre interessante. Molto bella dal punto di vista figurativo la moto generata dalla distruzione della batmobile.
Il cast si conferma valido, pur con qualche cambiamento. Maggie Gyllenhaal è una Rachel più autonoma e disinvolta, ma fisicamente meno appariscente di quella di Katie Holmes: in questo modo il personaggio cambia sensibilmente, acquistando alcuni tratti di una Lois Lane leguleia. Gary Oldman è un commissario Gordon molto più al centro della vicenda rispetto a quello, di pura maniera, interpretato da Pat Hingle nella serie precedente. Christian Bale e Michael Caine si confermano ottimi nei loro ruoli.
Il successo è planetario e inarrestabile: il budget sale a ben 185 milioni di dollari, ma gli incassi schizzano a un miliardo e quattro milioni su scala mondiale, un risultato straordinario.

Inevitabile il seguito, Il cavaliere oscuro – Il ritorno (2012), sempre di Christopher Nolan che porta a conclusione la trilogia riannodando alcuni fili narrativi e recuperando diversi elementi di continuity dal primo film.
Bane (Tom Hardy), ruvido e crudele fuoriuscito della Setta delle Ombre, sta ordendo un piano terribile che mira alla distruzione di Gotham City, eletta come sempre a simbolo del malaffare e della corruzione.
Christian Bale è sempre più padrone del personaggio, capace di fornire un Bruce Wayne sfaccettato e credibile oltre che un Batman deciso e cattivo al punto giusto (a parte il discorso della voce amplificata). Bane, invece, è un cattivo minaccioso e sufficientemente terribile, ma non troppo caratterizzato: sembra un qualunque wrestler mascherato5 dall’aria truce e tale rimane anche dopo che la sua storia è stata un po’ approfondita. Comunque svolge adeguatamente la sua funzione di nemesi apparentemente imbattibile.
I rivolgimenti nella vita di Bruce Wayne con l’estromissione dalla sua compagnia a seguito di manovre finanziarie malandrine e l’abbandono sofferto da parte di Alfred sono sufficientemente interessanti, se non sconvolgenti, e aprono la strada all’espediente drammatico principale del film. Bruce Wayne e Lucius Fox hanno, infatti, realizzato a caro prezzo un potentissimo reattore che potrebbe generare ottima energia, ma potrebbe anche, se modificato, diventare una temibile arma. Perciò Wayne era restio a metterlo in funzione e a rivelarne pubblicamente l’esistenza. Quando però si rischia che il reattore entri sotto il controllo, indirettamente, di Bane, Wayne rivela all’amica facoltosa e affarista Miranda Tate il segreto del reattore ottenendo che la donna metta in atto una manovra finanziaria tale da conquistare il controllo della Wayne Entreprises a danno di Daggett l’uomo che pensa di controllare Bane, ma che invece ne è solo una pedina.


Bane riesce comunque con la forza a conquistare il controllo del reattore e a trasformarlo in una bomba nucleare da quattro megatoni. La sua intenzione sarebbe quella di far esplodere la bomba nel centro di Gotham City in modo da distruggerla completamente. Prima però, capziosamente, fa credere alla popolazione che sia possibile creare una società nuova facendo piazza pulita di quella precedente, marcia e corrotta. Il commissario Gordon e il giovane detective Blake (Joseph Gordon-Levitt) – toccato in gioventù dalla beneficenza della famiglia Wayne – cercano di contrastare i piani di Bane, nonostante l’ignavia del pavido ufficiale Foley (Matthew Modine) e nonostante che tutti i poliziotti della città siano finiti in trappola da mesi nei tunnel sotterranei. Tutti aspettano il ritorno di Batman, che, sconfitto da Bane, è stato da questi gettato in una prigione in fondo a un pozzo dal quale solo uno è riuscito a uscire in precedenza. Dire chi è stato significherebbe rivelare uno dei colpi di scena del film per cui non lo farò, limitandomi a dire che, ovviamente, il secondo a riuscirci sarà Bruce Wayne che così si trasformerà di nuovo in Batman e capeggerà la rivolta contro Bane, collegato in molti oscuri modi a Ra’s Al Ghul, in una maniera che richiama sin troppo il feuilleton e viene enfatizzata ulteriormente dalle svolte finali.
Il clima minaccioso che aleggia su Gotham è costruito con efficacia e, nella descrizione dell’aspettativa del disastro, richiama il filone catastrofico. La descrizione della Gotham rivoluzionata generata dal nuovo ordine di Bane è notevole per cupezza orwelliana, anche scenograficamente. Pur restando un cattivo banalmente totalitario nella gestione del male, Bane fa mostra di un populismo insidioso e affascinante, non lontano da quello che si sente molto spesso anche qui in Europa nella vita reale: il suo discorso alla popolazione è sottile perché basato sulla rivelazione della verità su Harvey Dent messa a confronto della necessitata menzogna orchestrata da Gordon e Batman per fare dello stesso Dent un simbolo positivo, utile per una società che ne aveva estremo bisogno. Le situazioni sono quindi presentate in un modo maturo e complesso.
In questo seguito, però, l’equilibrio dinamico del film precedente si altera e si torna almeno in parte all’enfasi melodrammatica di Batman Begins. La durata quasi interminabile non va a vantaggio della narrazione che resta sufficientemente tesa, ma non raggiunge i livelli di efficienza dell’episodio precedente.
Batman – che è il caso di ripeterlo non ha super poteri – viene comunque dipinto efficacemente come un eroe vulnerabile, sofferente, spesso ferito. Anche i suoi nemici sono privi di super poteri e questo dà al confronto maggiore realismo e drammaticità. La partecipazione di Batman è comunque ridotta nei tempi, come se fosse un simbolo che deve avere il tempo di rendersi necessario. Maggiore rilievo, rispetto ai film delle altre serie, hanno personaggi come il commissario Gordon, reso sempre con sofferto vigore dal bravo Gary Oldman, o Blake (di cui si preannuncia la trasformazione in Robin)6 e Bruce Wayne stesso. Anche Alfred viene allontanato dal cliché onorevolmente reso nella serie precedente da Michael Gough e si trasforma in un personaggio più complesso e meno deferente, nell’interpretazione sottile e appassionata di un grande come Michael Caine.
Un altro personaggio di qualche complessità è quello di Selina/Catwoman. Ann Hathaway ne rende con un fascino scattante la natura ambivalente di reietta proiettata verso una fuga forse impossibile.
Il successo è ancora una volta molto consistente: il budget arriva addirittura a 250 milioni di dollari, ma gli incassi svettano a un miliardo e 84 milioni di dollari lordi nel mondo. La trilogia sembra conclusa, anche se in modo aperto. Il futuro ci riserva un incontro tra Batman e Superman che in quanto tale non potrà che sconfessare in toto lo spirito di questi tre film, fermamente ancorati a un registro realistico, e riportare, almeno apparentemente, il personaggio nell’alveo supereroistico più tradizionale. Ma naturalmente non si può parlarne prima d’averlo visto. Per intanto, resta da segnalare la serie televisiva Gotham, che per una volta mette al centro dei giochi il commissario Gordon, in una nuova variante di una parabola narrativa che sembra non avere fine.


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