Battuta di caccia, di Jussi Adler-Olsen (2012)

Creato il 16 luglio 2012 da Psichetechne

Anno: 2008   Editore:  Marsilio, Collana "Farfalle", 2012   Traduzione: Maria Valeria D'Avino   Pagine:  495, brossura   ISBN: 978-88-317-1227-9   Euro: 18,50Va così in questo periodo, da queste parti: poche recensioni cinematografiche e molta letteratura. Ho in verità in lista diversi film, tra cui "The Theatre Bizarre" (2011), di Buck, Giovinazzo e altri registi, ma il tempo è quello che è, cioè non mi permette l'agio di visionare con la dovuta cura ciò che mi riprometto. Nella lettura, invece, sono più veloce, e quindi ho più materiale narrativo fresco di cui riferire. Passo dunque a darvi informazioni e pareri circa la mia prima lettura davvero "estiva", che sarebbe appunto "Battuta di caccia", di un Adler-Olsen già ben temprato dalle fatiche del precedente "La donna in gabbia", edito ancora da Marsilio. Il libro è ben strutturato, e ha il pregio di catturare l'attenzione del lettore in volute spiraliformi progressive della trama, la cui caratteristica più inaspettata e intressante consiste nel togliere di mezzo, fin da subito, la solita stantìa figura del serial killer o dell'omicida in quanto tale, spalmando la "cattiveria" su un gruppo, e non su un solo, singolo individuo. Idea, in sè, non originalissima, mi rendo conto, ma che, unita al ritmo sostenuto della narrazione, imprime sul tessuto del racconto un'aura enigmatica particolare. La modalità di scrittura di Adler-Olsen è fresca, a tratti spumeggiante nell'utilizzo dell'ironia e della metafora grottesca, che muove al riso, pur dipingendo l'affresco cupo di un gruppo di sadici "cacciatori" con un passato adolescenziale in stile "Arancia Meccanica" (film peraltro molto amato dal gruppo dei violenti cui dà la caccia la Sezione Q della Polizia Criminale di Copenhagen, costituita dal detective Carl Morck e dal suo assistente Assad). E' in effetti difficile trovare un libro che sappia temperare comicità volontariamente utilizzata come registro stilistico, e atmosfere thriller di un certo tenore: Adler-Olsen riesce egregiamente a costruire una texture poliziesca di questo tipo, lavorando sull'inconscio del lettore a vari livelli, con una coerenza e una lucidità sorprendenti. Ad esempio, tutta la sequenza narrativa entro cui Carl, che non sopporta, fobicamente, di prendere un aereo, si dirige a Madrid per interrogare una delle vittime del gruppo delinquenziale, è sostanzialmente comica ("Aveva dormito come un sasso per quasi tutto il volo di ritorno, e all'arrivo le hostess non erano quasi riuscite a svegliarlo. In realtà avevano dovuto prenderlo di peso per farlo scendere dall'aereo, dopodichè il personale dell'areoporto se l'era portato via in uno dei suoi veicoli elettrici e l'aveva scaricato in infermeria", pag. 413); ma questa sequenza è preceduta  da un interrogatorio terribilmente traumatico per l'interrogato, che non ci saremmo mai aspettati. I due livelli (comico e perturbante) si intrecciano amabilmente, senza generare iperboli estetiche in nessun punto dell'orizzonte narrativo che scorgiamo. Più che un "intreccio" di generi narrativi, potremmo tranquillamente parlare di "matrimonio riuscito" tra un pigmeo e una norvegese, immagine forse difficile da pensare, ma che allo scrittore danese riesce benissimo. Già, e solo, per questo motivo, dovremmo dargli una medaglia, ma Adler-Olsen non si accontenta certo di farci ridere: imbastisce invece un plot drammaticissimo, facendolo ruotare (tra un passato adolescenziale di un gruppo di collegiali straricchi e annoiati, tipo "Funny Games", e un presente finanziario-politico che è figlio di quel passato violento) tutto attorno ad una figura femminile, Kimmie, che ci resterà impressa per molto tempo. Kimmie, adolescente borderline, cresciuta all'interno di un gruppo di amici sociopatici, diventata grande, e, tradita da genitori indifferenti al suo dolore, naturalmente desidera vendicarsi dei suoi compagni di una volta, responsabili di averle fatto perdere  il bambino di cui era incinta, frutto di uno stupro perpetrato dal suo stesso gruppo, ma a cui lei , follemente teneva. Per realizzare il suo sogno di vendetta, Kimmie diventa una finta clochard, si perde nella folla per non farsi riconoscere, e pianifica il suo progetto di morte, inconsapevole di avere il fiato di Carl Morck sul collo. Quella di Kimmie è una figura dolente, vittima del male da lei stessa perpetrato, completamente alla deriva, ma rimane l'unico personaggio che muove un briciolo di tenerezza. Gli altri componenti del gruppo di sociopatici, cioè Ditlev, Ulrick, Torsten, Kristian (che morirà dissanguato per mano della stessa Kimmie), risultano soltanto insopportabili, nel loro tronfio e arrogante narcisismo patologico di ricconi annoiati e aggressivi. Confesso che la scelta del tema (risaputo e strausato, soprattutto cinematograficamente) della "battuta di caccia", è l'unico elemento della storia che mi ha reso un tantino perplesso: forse l'autore danese poteva semplicemente concentrarsi sul gruppo in sè, nonchè sulle vicende dei pestaggi effettuati nel loro passato adolescenziale, tuttavia il libro convince lo stesso, tiene incollati alle pagine, e rende molto simpatica la figura del detective Morck, alle prese, tra l'altro, con la nuova segretaria Rose, una catastrofe di donna che non fa che irritarlo a più non posso. La figura di Assad, l'assistente siriano di Carl è altrettanto accattivante e saggiamente centrata in senso multietnico. "Battuta di caccia" è quindi un libro senz'altro da leggere, senza dubbio sotto l'ombrellone, e che porterà chi non l'ha ancora letto, ad acquistare anche il precedente, "La donna in gabbia". Dunque: molto consigliato.

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