Questa settimana ho partecipato alla scuola estiva BCI (Biology Computation and Information), organizzata dall’Università di Trieste nella cittadina di Dobbiaco, sulle alpi altoatesine. A tenere le lezioni c’erano tre esperti nel settore della bioinformatica, venuti dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra per raccontare la loro esperienza come studiosi di fenomeni biologici mediante l’utilizzo di tecniche computazionali.
Jasmin Fisher, del Microsoft Research Centre di Cambridge, ha parlato delle sue simulazioni di processi biologici, come lo sviluppo della vulva del verme Caenorhabditis elegans: utilizzando delle reti chiamate state charts, il gruppo della Fisher è riuscito a riprodurre su un computer il differenziamento di specifiche cellule di questo organismo, che in natura avviene grazie a particolari segnali chimici. Il team inglese si è dedicato anche alla modellizzazione di altri fenomeni di vario genere, più o meno utili, ma di sicuro effetto scenografico, specie quando si è passati alle simulazioni 3D. I tool per la visualizzazione dei complicati processi modellizzati sono sviluppati dallo stesso gruppo, che si è posto come obiettivo di progettare software il più possibile user-friendly, adatti cioè ai biologi che poi li dovranno utilizzare.
Un po’ più impegnative sono state le lezioni di Bud Mishra della New York University. Filosofia, logica e statistica sono le carte messe sul tavolo dal professore di informatica indiano, nel tentativo di tratteggiare con precisione la differenza tra il concetto di correlazione e quello di causalità. Emblematico l’esempio del barometro: quando la pressione scende il barometro lo segnala, e poco dopo si scatena un temporale. Potremmo ingenuamente ritenere che sia stato il barometro a provocare la tempesta, quando in realtà i due eventi si verificano insieme semplicemente perché hanno una causa comune. Che scoperta, direte voi. Eppure queste sono le stesse conclusioni a cui si potrebbe erroneamente giungere quando, ad esempio, si cercano i geni responsabili di una certa malattia. Ecco perché è importante affrontare questi problemi con attenzione e soprattutto con gli strumenti logico-matematici corretti.
Il pezzo grosso tra gli speaker, però, era certamente Eugene Myers, l’uomo che ha inventato l’algoritmo di BLAST: per chi non lo sapesse, BLAST è il programma che tutti i biologi del mondo utilizzano ogni giorno per fare ricerche di similarità di sequenza nelle banche dati pubbliche. Dopo aver contribuito al sequenziamento del genoma umano lavorando alla Celera Genomics di Craig Venter, però, Myers ha deciso di cambiare completamente settore, passando dalla genomica all’analisi di immagini. Secondo il brillante informatico americano, infatti, il modo migliore per capire la biologia è osservarla, vederla in azione. Lo strumento utilizzato è il classico microscopio, ma questa volta, grazie agli algoritmi, le immagini acquistano un aspetto quantitativo che prima l’occhio umano non poteva registrare. Ecco allora che nasce un programma per localizzare le vibrisse di un topo mentre si muovono, o il codice che permette al computer di memorizzare il disegno articolato delle ali di un moscerino della frutta. Lungi dall’essere semplici esercizi di stile, questi algoritmi consentono di tradurre i pixel in numeri e danno la possibilità di scoprire dettagli impercettibili e relazioni che altrimenti sarebbero passate inosservate.