Oz è uno scrittore mimetico, poco invadente. Lascia parlare i suoi personaggi. Li fa vivere, respirare e, talvolta, li impersona.
Dalle sue mani e dalla sua scrittura agile, ma non nervosa, prendono vita personaggi come Shemuel, Gershom e Atalia che, attraverso punti di vista contrastanti e diametralmente opposti, ci raccontano una storia fatta di tradimenti, amori e fantasmi, che il lettore riuscirà a cogliere da più punti di vista. All’interno di un romanzo polifonico e armonico, che sembra essersi scritto da sé, Oz ci parla di tradimento e di quel Giuda, l’unico traditore che la Storia si ostina a ricordare, che forse è stato semplicemente l’artefice di un grande atto d’amore. Fantasmi e tradimenti vengono chiusi da una domanda. Una domanda che chiude il volume e che porta con sé una speranza, fragile e quasi miracolosa, che i tre personaggi principali hanno tentato di costruire in 336 pagine.
Le domande, dice Oz, sono il simbolo della speranza. Avere una risposta da cercare, trovare un luogo dove andare, è ancora più bello che trovare quella domanda e quella risposta che tanto ci siamo affannati a cercare. Un uomo che non smette mai di stupirsi e di meravigliarsi di fronte alla vita e alle sue parole. Uno scrittore che non soffoca i suoi personaggi, che non li carica d’ideali, messaggi e morale: li fa semplicemente vivere. Amos Oz, 75 anni, non smette mai di stupirci. Alla prossimaDiana