Ma è detto in inglese perché nella lingua mondializzata e dunque banalizzata, permette di intendere quella frase anche come sii gratis, sii disponibile. To be free anzi si usa spesso proprio in questa accezione. E così come in uno spot malizioso che nasconde doppi sensi, quel be free, accenna alla libertà, ma significa nella sostanza che per avere il premio devi adattarti alla schiavitù: solo il possesso dell’oggetto garantisce la tua liberazione dal desiderio indotto.
Lo dico perché be free mi sembra perfetto per il prossimo slogan elettorale del Pd che nel frattempo si è trasformato nella vera sponda politica del liberismo o quanto meno della sua strategia più attuale: superare le difficoltà del consenso e della governabilità poste dalla democrazia associando in maniera organica alla politica i gruppi di potere, i comitati di affari, le zone opache che confinano con la criminalità, i cosiddetti “corpi separati”. In questo modo si lascia intatta come una pelle morta la democrazia formale, mentre appena sotto i muscoli guizza l’oligarchia.
Be free, tieniti in contatto, scolati la birra e lascia fare al potere il suo lavoro. Be free e lascia perdere i diritti che sono una iattura per la competitività, com’è scritto nel manuale delle giovani marmotte. Be free e credi che Alfano non c’entri nulla, oltre ogni ragionevole dubbio, nell’affare kazako. Bee free, rendi disponibile il tuo futuro per far sì che i signori dell’expò ricavino profitti colossali. Ma sì, sarebbe l’ideale: coniuga il veltronismo anglofono (sebbene Walter non conosca una parola d’inglese) con il franceschinismo sciatto e lazzarone, il dalemismo placcato oro e il renzismo truffaldino. Oltretutto deve piacere molto al Colle. We Can, I care, ma you, mi raccomando, be free. Parola del Pee Dee