BIG SUR
Quando ho messo piede a San Francisco ascoltavo gli Ska P. Non c’entravano un cazzo. Le striscie bianche sull’asfalto erano comunque enormi, e dal ponte come in una cella sbattevi lo sguardo sui grattacieli. Un grappolo di grattacieli. Brillanti. E troppo sole brillante pure lui, e il cuore a palla, eccitato con un piede fuori dal finestrino.La grande Frisco, vagina enorme dove hanno eiaculato tutti i più grandi scrittori froci d’ogni tempo. L’inarrivabile Frisco. E il suo bel cinturone di castità chiamato Golden Gate. Mi sentivo vivo. Vivo in una cabina nel mezzo del buco del culo d’America. Quel gran culone che una volta c’ha cagato addosso e c’ha fregato tutti. M’ha fregato. Tanto da farmi credere che il beat era il big. E la generation era il sur.
Big sur.
E troppi negri muniti di tromba e io in quella cabina, a chiamare “nessuno” per dirgli “niente”.
Ed il jazz perfetto a dar ritmo a tutti i barboni sbattuti strafatti strafelici. Una mela per scappare da Alcatraz, succosa e gialla, come la fuga. Tutti i compari di Ferlinghetti rinchiusi in 4 mura che erano il mio sogno, e due froci abbracciati fuori dal più grande museo del mondo, quello che c’ha fregato, che m’ha fregato.Beat, Big.
I cinesi che pretendono la mancia, e un matto che fuori dal vetro pretende un morso di cina, perchè ha fame. E il quartiere italiano che d’italiano non c’ha un cazzo. E i turchi strafatti di kebab, ed io strafatto del mio sogno, strabuzzo gli occhi e li rivedo tutti che si inculano tra salite e discese. Si fanno in culo e ci fottono. Ci danno idee. C’han fregato.
Generation, Sur.
Porticciolo e molo dove immolo il mio destino, lo impicco a una cima, e gli do gas.
Lasciatolo andare approfitto di quell’aria gèlida e calda. Ed il sole non brilla più. E di Frisco me ne infischio. E forse manco ci son stato, mi son detto. Quando tra un paio di spari e un piede fuori dal finestrino ho sbattutto gli occhi su un gran cartello verde:
WELCOME TO MEXICO.
[le parole sono di Francesco Spano. Le foto le ha scattate C.]