Beatriz ha 22 anni, è incinta da 20 settimane. E sta per morire.
Beatriz infatti è gravemente malata, soffre di lupus e insufficienza renale, e la gravidanza sta peggiorando le sue condizioni. La ucciderà a breve. Un aborto sarebbe l’unica salvezza. Eppure, nonostante il figlio che aspetta sia anencefalico – manca di una parte del cervello - e le sue aspettative di sopravvivenza siano praticamente nulle, non potrà abortire.
Perchè vive a El Salvador, dove l’aborto è proibito in qualunque circostanza.
Le donne che se lo procurano illegalmente, oltre a rischiare la vita, si scontrano anche con 50 anni di carcere, i medici che lo realizzano 12.
Al momento, 19 donne stanno scontando delle pene carcerarie per aver abortito e almeno 13 donne sono già morte per le complicazioni di una gravidanza impossibile da interrompere.
Beatriz vuole però vedere rispettato il suo diritto alla scelta, il diritto alla sua vita, che i vari antiabortisti sembrano dimenticare.
Membro di una famiglia con poche risorse economiche, ha già un figlio di due anni, anche questo partorito mettendo a rischio la propria salute, con minore pericolo ma che comunque la tenne 38 giorni in terapia intensiva.
Ha dunque portato il suo caso davanti alla Corte Costituzionale dello Stato e alla Corte Iberoamericana dei Diritti Umani ( CIDH ) , ed ora spetta al Governo di El Salvadore scegliere di concederle o meno una eccezione e consentirle di abortire.
E anche ciò succedesse, cosa sarebbe di tutte le altre Beatriz, di tutte le altre che si troveranno in questa condizione?
E quelle che vorranno abortire per motivi socio-economici? Per motivi personali? Per autodeterminazione?
Di tutte queste ancora non si parla, ma per lo meno Beatriz ha portato questo caso all’attenzione internazionale e nel suo Paese non si parla d’altro. Il Ministo della Giustizia di El Salvador, Maria Isabel Rodriguez, ha chiesto un permesso speciale per l’aborto della ragazza e perchè nè lei nè i medici siano puniti, aprendo alla speranza. Questo tentativo progressista si scontra con l’intervento della Conferenza Episcopale di El Salvador che continua invece a chiedere che l’interruzione di gravidanza rimanga illegale e ingiustificata in ogni caso.Le associazioni per la vita ( dei feti, non delle donne ) e i vescovi hanno inoltre accusato organizzazioni e movimenti di donne e femministe del Paese di aver strumentalizzato la malattia di Beatriz per aprire il dibattito sull’aborto.
Certo, in un Paese dove la libertà di autodeterminazione delle donne è completamente negata, un caso del genere E’ uno strumento di lotta.
Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha criticato aspramente l’inazione del governo di Mauricio Funes: questa situazione di incertezza ha peggiorato infatti le condizioni di Beatriz, condannandola a vivere una situazione disumana e degradante.
Lunedì la CIDH ha concesso alla ragazza il patrocinio che aveva richiesto e ha chiesto al Governo di concederle l’aborto, senza dilazioni.
Ad oggi, però, Beatriz è ancora ricoverata in ospedale e il Governo non ha ancora dato segni di voler depenalizzare l’aborto terapeutico, nè di darle il permesso di un’eccezione.
Juan Mendez, relatore speciale dell’ONU per la tortura, ha anche ribadito come il diritto internazionale proibisca il trattamento inumano, crudele e degradante, per questo gli Stati sono obbligati a utilizzare mezzi giuridici efficaci per evitare di sottoporre le donne a un simile trattamento. Insomma, la negazione dell’aborto terapeutico è una tortura.
El Salvador non è l’unico Paese che impone questa atrocità alle donne: nel 2010, una donna di 27 anni malata di cancro è morta in Nicaragua perchè le è stato negato il diritto all’aborto terapeutico, nel 2012 una ragazza di 16 anni malata di leucemia è morta in Repubblica Dominicana perchè le autorità le negarono il trattamento farmacologico che avrebbe messo a rischio la vita del feto che portava in grembo.
E’ morta prima che quel bambino potesse nascere.