Via Pellegrino Rossi 5, 20161 Milano
VERNISSAGE martedì 4 dicembre ore 18,30, in mostra sino al 15 gennaio 2012
Personale di THOMAS BEE: in anteprima a "BEE pop a lula" le nuove opere di Thomas Bee. A cura di Laura Angelone.
Parlare con un’arte diretta, semplice e fresca ha la sua croce e la sua delizia. Spesso si corre, infatti, il rischio di incappare in una superficialità diffusa che, con la frase “questo lo so fare anche io!”, pensa di ergersi a giudice e risolutore di un processo creativo. Il fascino più recondito, invece, è legato alla delizia, ovvero al piacere di portare avanti nuove soluzioni creative e di studiare e affinare continuamente la propria indagine artistica. Thomas Bee è la prova concreta di tutto questo: poliedrico e sferzante, attratto dai diversi linguaggi espressivi del nostro tempo, dalla fotografia al design, dalla scenografia alla pubblicità, delinea la sua arte attraverso una costante sperimentazione. Bee attira, perché guarda al contemporaneo ed elabora interessanti testimonianze del nostro tempo. Bee convince, perché fa dell’arte Pop una base da rinnovare, ricreare e inventare. L’originalità è immediatamente manifesta nel suo personale concetto di creatività, che lo conduce a modificare continuamente il supporto delle sue opere: la tela infatti scompare, sostituita dai più disparati materiali con cui ogni giorno noi tutti abbiamo a che fare.
L’idea di rendere opera d’arte un tagliando del parcheggio offre a Thomas la possibilità di confrontarsi con diverse sfere comunicative. Dirompente è il messaggio di accostare un supporto così strettamente legato a un mezzo inquinante come l’automobile a un’immagine che si riferisce, invece, alle soluzioni alternative di trasporto, denunciando una necessità di tornare a respirare quell’ossigeno che il mondo d’oggi sembra costantemente toglierci. Innovativo è lo sviluppo delle figure rappresentate sul gratta e sosta milanese, che, andando a riprendere l’arte aulica per eccellenza, arriva a essere uno studio di corpi nudi, così veri e attuali. Unica è la proposta stessa di nobilitare un supporto per noi così “quotidiano” e farlo diventare testimonianza indelebile del nostro periodo storico.
Sperimentare è proprio l’imperativo categorico: l’artista riprende il concetto Pop delle “icone”, svuotate del loro valore sacrale e mostra come basti semplicemente identificarsi in un modello, assimilato e accettato come tale dalla società, per appagare il proprio egocentrismo e per seguire il falso mito dell’apparenza. Bee, però, riesce a stabilire un personalissimo contatto con queste icone: tanto svuota il valore dell’immagine, quanto inonda le sue opere di significato attraverso lo studio di nuove soluzioni creative per sostituire la tela. Ecco dunque che attinge dal mondo ludico dell’infanzia, costruendo le immagini attraverso i chiodini, perché in fondo, creare con gli occhi di un bambino significa proprio continuare a indagare la realtà. Ecco che schernisce il contemporaneo delineando forme, contorni e colori con le pillole, farmaci alienanti oggi iper utilizzati e abusati. Ecco che si avvicina al 3D, realizzando un collage di mattoni in terracotta, di carta, di legno, di plastica… e ricrea una piccola parte di mondo dove, giocando con il proprio nome, si raffigura come una pecora che scappa dalle convenzioni, che fugge minacciato da chi, più forte, vuole affermare il proprio potere, che si misura con tante ombre prive di personalità. Come combatte Bee contro il Golia contemporaneo? Con l’ironia e la stravaganza.
Lo sviluppo dei pluriball come supporto offre la possibilità di comprendere la minuzia e la complessità della sua ricerca. Nei suoi primi lavori l’artista crea un’immagine similare a una fotografia, in cui lo sfondo neutro ben evidenzia il personaggio. Successivamente prosegue nella sua ricerca e arricchisce il fondo con elementi caratteristici dell’icona raffigurata. Come ultimo passo, Bee sviluppa proprio il concetto dell’evoluzione del supporto e rappresenta un forte e intenso quadro della società contemporanea: tante piccole statuine sono imprigionate nelle bolle del pluriball, solitarie, prive di alcuna possibilità di interagire e comunicare l’una con l’altra. In tale senso si collocano anche i lavori realizzati con le cannucce da cocktail: il supporto dà un nuovo senso allo spessore delle opere e rende unico il gioco di luci; apparenza… perché le cannucce, affiancate l’una all’altra, costruiscono una piccola gabbia che tanto ricorda le celle di un alveare e che risucchia, blocca, aliena figure e osservatore.
Ingegnoso e originale, provocatore e innovativo, Thomas Bee riesce a presentare concetti complessi con una semplicità disarmante; lo sai fare anche tu? Bene, perché non l’hai fatto?! (laura angelone)
THOMAS BEE
Ancora una volta Thomas Bee arriva al punto, e ci sorprende.
Tra le mani, le nostre mani, non abbiamo la solita reiterata giustificazione d’essere.
Ciò che deve piacere per dirla tutta.
Tra le mani abbiamo un liquido che scotta e brucia.
Ci bastiamo noi? La domanda è semplice, sì, ma così importante nella sua sintetica alterità da sollecitare prepotentemente la nostra parte assente a divenire manifesta.
Thomas Bee si espone sul ciglio del precipizio e guarda al suo artigianale paracadute.
Non lo mette a mercato, lo usa lui, e ci si butta nel vuoto.
Se funziona arriva a terra e, lui volendo, ci racconterà lo svolgersi del salto.
Se non funziona i cocci sono comunque buoni per fare altro, ad esempio per non inseguire
lo scardinamento da se’ ma per costruire un nuovo linguaggio.
Bee capitalizza una conoscenza dell’essere che mostra concretezza, sublima una quotidianità troppo spesso trascurata.
Parcellizzati noi, ricondotti all’interno di miseri alvei nei quali esprimiamo un desiderio estremo di contatto.
L’opera di Thomas Bee, nell’ultimo periodo, è cresciuta potentemente e si è palesata per ciò che è. Se ieri Bee ci faceva bastare il vip-pop, pur indicandoci tracce di indagine, oggi
Il suo fare ci sollecita a dar fuoco alle polveri e a intraprendere un “piccolo” viaggio… “drive your head… “
Il gratta e sosta si è evoluto…. La bicicletta, l’elefante e la memoria… siamo noi, in dimensione uno a uno, a vivere nelle parcelle dei parcheggi, a sostare, a vivere la quotidianità nella ricerca spasmodica di una sosta. E Buummm! Bee arriva a colpire, meglio a indicarci, che si deve uscire… restar dentro è sempre un inganno e un danno.
Soffriamo il compulsivo desiderio di non mancare… manchiamo a noi nella vertigine dell’assenza…
…ma trovando il parcheggio… una cella… una cazzo di gabbia ove collocarsi per esserci ed essere… venir forse riconosciuti e testimoniare ad altri la nostra presenza….
Bee mi spiazza, i suoi guantoni arrivano davvero a darmi un uppercut…
Chiusi in microcelle di polietilene, omini quasi insignificanti eppur vivi, un urlo che chiede d’esser colto… oppure dimenticato…
Bee è potente nel suo agire… se lo interrogo mi offre Warhol.
O Marilyn, in pillole. Warhol… così perfettamente e definitivamente ricondotto a se’.
L’icona di una parcella di tempo passato. Ma attuale per mercato e speculazioni di varia natura. Nell’opera di Bee Warhol (lui) smitizza se’ stesso accumulandosi. Divenendo da icona post-mortem quanto aveva preconizzato e ottenuto per la sua arte. Un multiplo. Un multiplo di sé in accumulazione costante. Da qui credo la scelta di Bee di un Andy Warhol vagamente stranito, profondamente metafisico.
Monroe. Vita impegnativa e rovente la sua. Frequentazioni difficili, a volte noiose, forse maldestre, e a tratti politicamente pericolose.
Bee credo non voglia pensare al solito inganno.
C’è umanità… soprattutto… sostanza… e le pillole… questo è quanto…
Il sorriso, malinconico e drogato, non cambia e guarda alle nostre parcelle d’essere, al nostro impegno nel frammentarci… e alla nostra condizione di briciole umane troppo spesso incapaci di amore.
Monroe… Warhol… noi dentro le bolle di polietilene…
(Ferdinand Lucien Biancì)