Su di lui grava anche il sospetto di essere stato prossimo agli assassini folli e di frequentare un poligono di tiro frequentato dagli estremisti. E c’è poi un magistrato con una doppia vita analoga. Inoltre all’inizio degli anni Ottanta si viene a sapere che alcuni gendarmi usavano tecniche un po’ particolari per lottare contro il narcotraffico non esitando a trasformarsi essi stessi in narcotrafficanti, un po’ come fanno i sudamericani, proprio coloro che hanno addestrato i gendarmi belgi. E qui si aggancia un’altra faccenda.
Nel 1986, viene assassinato il direttore di un’industria di fabbricazione delle armi, la FN di Herstal, specializzata nell’esportazione verso l’America Latina. È uno straniero indicato come vicino alla Cia. Si chiama Juan Mendez, è un amico del direttore del carcere già citato, ha legami con l’estrema destra e frequenta gli stessi poligoni in cui si ritrovano molti militanti dell’estrema destra.
Ma frugando un po’ nella sua vita, si scopre anche che l’esportatore d’armi collaborava con gli Stati Uniti in alcuni frangenti “sensibili”: si tratta di alcune forniture d’armi clandestine legate al caso Irangate e destinate a contrastare i movimenti rivoluzionari in Nicaragua (il cosiddetto Iran-Contras affair).
Molte partite d’armi sono salpate dal Belgio, dove i controlli doganali sono più laschi che altrove. E una conclusione a cui gli investigatori sono giunti è che la Cia abbia, attraverso questo trafficante, finanziato indirettamente i colpi degli assassini folli.
Nell’inchiesta sull’omicidio dell’esportatore, i gendarmi inciampano anche in un loro ex collega, Madani Bolouche, militante di estrema destra. In suo possesso viene trovata un’arma usata in uno degli attacchi degli assassini folli del Brabante. Ma vengono trovati anche maschere di carnevale e documenti, oltre alla mappa di una serie di nascondigli a Bruxelles.
Poi ci sono alcune delle armi rubate alla caserma dell’unità speciale della gendarmeria. A questo punto il legame con i delitti del Brabante è inconfutabile. Ma la soluzione, che sembra a portata di mano, è ancora lontana.
Così lontana che ancora oggi le indagini sono aperte, a 26 anni dall’ultimo colpo. Ed è bene dire che tra quattro anni, nel 2014, quei delitti andranno prescritti. C’è ancora dunque un sacco di lavoro da fare per gettare luce sui sabotaggi dell’inchiesta, sulle compromissioni tra guardie e delinquenti. Ma a oltre cinque lustri da quell’ultimo colpo ad Alost, esiste una risposta alla domanda sull’identità degli assassini folli del Brabante?
Degli esecutori non sappiamo niente, se si esclude la ventina di identikit realizzati nel corso degli anni. Sappiamo però che vennero coperti da alcuni gendarmi, finiti in carcere e alcuni dei quali scarcerati tra il 2009 e il 2010. E sappiamo che altrettanto fecero uomini degli apparati di intelligence, uomini che provenivano dagli ambienti del neofascismo e della rete Stay-Behind belga, alcuni dei quali finiti nelle maglie di scandali sessuali.
Ma torniamo al perché: perché questo bagno di sangue? Innanzitutto per destabilizzare e così stabilizzare il Paese – ha detto Guy Coeme, ministro della difesa tra il 1988 e il 1991 -, suscitare la collera pubblica per arrivare a un rafforzamento dei poteri d’ordine. Lo schema più classico della strategia della tensione, orientata in Belgio non verso un ipotetico pericolo rosso, molto meno marcato che in altre nazioni europee, come l’Italia, la Francia e la Germania.
Qui la tensione avrebbe avuto come obiettivo la stabilizzazione del mercato (anche o, forse, soprattutto nero) di risorse come l’uranio e i diamanti. E l’abbattimento dei movimenti pacifisti che a inizio anni Ottanta si opposero, con uno schieramento variegato e trasversale, all’installazione delle basi missilistiche di Cruise e Pershing puntati contro l’Europa orientale.
Ma non si è voluto saperne di più, almeno fino a oggi. A lungo, il ministro della giustizia, Jean Gol, ha rifiutato la creazione di una commissione d’inchiesta. Sei giudici istruttori, un centinaio di investigatori e due commissioni d’inchiesta. E quando finalmente questa inchiesta, anzi le inchieste (perché saranno due) si faranno, il procuratore del re di Bruxelles dirà:
Credo che siamo stati traditi. Non vedo altre giustificazioni a quello che rimane il più grande mistero della mia carriera.
E a tanto tempo di distanza dall’ultimo attacco – quello di Alost del 9 novembre 1985 – c’è ancora l’intenzione di rispondere alla domanda: quali sono i nomi degli assassini? E soprattutto quali sono i nomi di chi ha voluto questo? Per gli investigatori belgi particolare importanza ce l’avrebbero le ultime 30 ore di azione della banda e, per ricostruirle, la cellula investigativa ancora attiva (e rinforzata negli ultimi mesi) sta lavorando alacremente ascoltando testimoni, incrociando perizie, rintracciando chi mai finora è stato sentito.
Al termine di quelle ultime 30 ore, nel Bois de la Houssière e nei canali limitrofi, sembra finire per sempre questa vicenda. Sembra finire con il corpo di un bandito ferito che viene abbandonato. Al momento ci sono bossoli di munizioni 9 mm che possono provenire da uno dei primi attacchi della banda, un’arma rubata durante la prima ondata di crimini, un giubbotto antiproiettile e uno degli spessi cappotti indossati dagli autori. Belgi, di certo, ma gli elementi raccolti fanno pensare anche a connessioni francesi, almeno nel primo periodo (e in questo periodo le targhe di alcune delle auto erano francesi).
E l’Italia che c’entra in tutto questo? Il Belgio fu terra di accoglienza per alcuni personaggi come Gaetano Orlando (uomo del Movimento Azione Rivoluzionaria, i Mar di Carlo Fumagalli) ed Elio Ciolini (vicino ai servizi stranieri, in particolare francesi, e ad ambienti piduisti, abituale depistatore di indagini del calibro della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e della sparizione dei giornalisti Graziella de Palo e Italo Toni, scomparsi da Beirut il 2 settembre 1980).
E sempre qui, a Bruxelles, c’è una scuola di lingue fondata da un reduce dell’istituto Hyperion di Parigi, crocevia di terroristi e “superclan” intorno al quale aleggiano ancora molte voci risalenti agli anni della strategia della tensione. Anche in questi casi si parla di traffici d’armi, terrorismo e coperture. Ma questo è un pezzo di storia la cui conclusione, come per la banda del Brabante, è ancora da scrivere.
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