Rinascite sarde.
Sguardi che s'incrociano, senza poi grandi speranze o ambizioni, perché è finito il tempo in cui si poteva essere bambini. Questo è il cinema italiano che amo, quello che va difeso e stimato perché fatto per strada, consapevole della sua urgenza e della sua necessità, cosciente che il cinema sia prima di tutto una questione di linguaggio (cosa che tanti prodottini italiani dimenticano, non capendo che la loro difficoltà maggiore non sia tanto nei contenuti quanto nella gestione della forma). Siamo in territori scevri da qualsiasi tipo di moralismo, furbizia o ipocrisia: Mereu racconta il mondo (la provincia di Cagliari) ad altezza occhi di Cate, ragazzina di undici anni, autentico sguardo-affezione del film (ha ragione chi lo definisce un film in soggettiva). Film che poi è un fiume di parole inutili che sgorgano in piena pubertà. Opera autentica, spontanea, immediata, dove non succede nulla che non sia semplicemente vivere. Vale la pena raccontare tutto, come in una fiera del nulla tra spiagge, palazzoni e streghe.
Un momento, che scorre via veloce ma scalda come pochi. Un istante appena sul letto, dove incrociare gli sguardi, ridere, baciarsi sulle labbra, labbra che sembrano farfalle, belle farfalle...