Commedia senza pretese, che si lascia guardare, ma che non lascia il segno, Belli di papà fa allontanare qualche pregiudizio che era sorto durante la lettura del cast. Perlomeno questo è un pregio.
Vincenzo è un imprenditore pugliese che ha raggiunto il successo a Milano. Sua moglie è morta da tempo e i suoi tre figli, agli occhi del padre, sono degli scansafatiche. Per dare una lezione ai figli, Vincenzo inscena il fallimento della società e costringe la sua prole a seguirlo in Puglia per nascondersi dalla finanza. Qui Matteo, Chiara e Andrea dovranno rimboccarsi le maniche e sporcarsi le mani con lavori umili.
Andando a sfogliare stancamente la filmografia del regista Guido Chiesa si nota che non esiste un titolo prettamente di genere come può essere Belli di papà. Difatti il regista torinese si è più che altro speso in drammatici non sempre riusciti, ma che perlomeno si fanno ricordare (soprattutto Lavorare con lentezza e Il partigiano Johnny). E allora la domanda sorge spontanea: perché reinventarsi in una commedia che, fin dalle premesse, appare come un lieve e indolore prodotto per famiglie? La risposta rimane insita in un film che vorrebbe insegnare qualcosa (l’indolenza dei figli ricchi che sperperano e non pensano alle conseguenze) e per farlo utilizza un linguaggio dozzinale e fintamente profondo. Perché Belli di papà esibisce le battutacce e gli sproloqui classici da film di bassa lega, ma nonostante tutto possiede qualche pregio, che trova libero sfogo soprattutto nella seconda parte (quella ambientata in Puglia).
Ed è proprio grazie a ciò che il film diretto da Chiesa si lascia guardare fino alla fine, strappa qualche risata e non si appiattisce progressivamente. Grande merito va alla prova attoriale di Abatantuono, padre imprenditore e perennemente assente che ha la presunzione di insegnare qualcosa ai figli, e alla capacità di prendersi in giro da parte del resto del cast, nel quale Facchinetti (che impersona il cialtrone da quattro soldi, contraddistinto da inglesismi vari e zero progetti) si dimostra il valore aggiunto, proprio perché credibile.
Pellicola senza alcuna pretesa e con diverse sequenze da libro Cuore (o famiglia del Mulino Bianco), Belli di papà si prefigge l’obiettivo di trattare il tema attuale dei giovani rampanti, che attendono che prima o poi gli venga passata la mano dai genitori. E alla fine ci riesce, ribaltando il concetto e facendo riflettere il pubblico sull’ipocrisia dei padri, che hanno la presunzione di essere onniscienti e indiscutibili latori di puerili preconcetti. Di conseguenza si è di fronte a una pellicola che dimostra di avere del potenziale e che fortunatamente non scivola lungo la china della demenzialità a tutti i costi.
Uscita al cinema: 29 ottobre 2015
Voto: **1/2