Cameron Crowe è questo, o lo si ama o lo si detesta, e lo è a dosi grandi così come a dosi piccole, quelle con cui lo abbiamo visto esporsi nei suoi ultimi due lavori. L'ultimo in assoluto è "Aloha: Sotto Il Cielo Delle Hawaii", che appunto sfrutta un percorso già calcato dal regista, per raccontare la storia di un militare costretto a vendere la propria anima ai privati miliardari e a lasciare l'esercito per reagire alla crisi economica mondiale del lontano 2008. Cambiato all'esterno, dove una missione di guerra gli ha compromesso parzialmente una gamba, ma soprattutto all'interno, per via di un cinismo e un disincanto sviluppati oltremisura, il ritorno nella sua vecchia terra - le Hawaii - per via di un incarico di lavoro, lo costringerà però a riprendere alcuni discorsi lasciati in sospeso e magari a ripristinare contatto con quella persona che era una volta e che adesso appare distante oltremisura sia a lui che agli affetti più cari. Altro giro, altra corsa, insomma, non esattamente necessaria o decisa, (come, al contrario, lo era stata per Tom Cruise, Orlando Bloom e Matt Damon) eppure scatenata dalla magia di un luogo in cui la leggenda e la metafora fanno da padroni, e in cui l'amore - colpa di una Emma Stone incorreggibile e di una Rachel McAdams che sa difendersi - ha il dovere di prenderti e di salvarti. Subito, ancora, per sempre.
E allora si, è vero, forse quello di "Aloha: Sotto Il Cielo Delle Hawaii" non è il Cameron Crowe lucido che aspettavamo, non è sicuramente quello che amiamo vedere, ma da qui a crocifiggerlo, come in molti hanno osato, sicuro, ce ne passa. Per quanto ci riguarda il suo cinema, fuori forma o meno, ha sempre motivo per respirare e muoversi, per esistere e esser sostenuto: come ci ricorda la scena del ballo tra Emma Stone e Bill Murray. Assurda, dolce e indimenticabile.
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