C'è un incipit piuttosto prevedibile e di scarso incoraggiamento ad accompagnare il "Camp X-Ray" dell'esordiente alla regia Peter Sattler. Uno di quelli, per intenderci, in cui prevedere il risvolto è ormai processo istintivo, quasi matematico, decifrabile in un batter d'occhio riducendo le possibilità a due semplici risultati: il primo a sfondo patriottico dove vien suggerito di diffidare sempre del proprio nemico e il secondo, esatto opposto del primo, che insegna a non dover fare per forza di tutta l'erba un fascio.
E da una parte, in effetti, è esattamente così, senza girarci troppo intorno, non c'è alcuna sorpresa riguardo alle sorti di una pellicola che tuttavia non ha alcuna intenzione di rendere il suo epilogo elemento di distinzione, né tantomeno gloriosa virtù. A Sattler (autore anche della sceneggiatura) infatti preme tutto ciò che viene prima, quel conflitto psicologico scatenato nella testa del personaggio di Kristen Stuart (convincente e riabilitata alla recitazione) quando il detenuto di Peyman Moaadi comincia ad entrargli in testa e a trovare terreno fertile per ognuna delle sue lamentele, questioni morali e giudizi. Parole che martellando a ripetizione finiscono per sfondare quel muro mai fatto di marmo, sorretto dalla giovane, rimettendo in discussione lei stessa, la sua decisione e i metodi esercitati dal suo paese per ottenere informazioni e collaborazione. Un processo che, sebbene anch'esso prevedibile, è costretto a fare i conti con quel senso del sospetto diventato oggi seme abitante nella coscienza di ognuno di noi.
A questo punto scoprire se il prigioniero chiuso in cella sia innocente o colpevole non conta più nulla, poiché come dice la pellicola stessa, in uno dei suoi buonissimi dialoghi: <se il tuo paese è in guerra con lui, allora lo sei anche tu>. E nella scena più difficile e drammatica posizionata nel pre-finale ci accorgiamo quanto nonostante le inconfutabili prove, quella tranquillità solare che una volta ci invitava a fidarci dell'altro, sia diventata un vago ricordo, riposto lontano, in territori remoti.
Tutti i discorsi sulla possibilità che Sattler poteva aver scommesso su un'opera prima sciatta e di poco interesse, dunque, sfumano come l'umanità scambiata tra paesi in guerra e il suo "Camp X-Ray" si impone sullo spettatore con carisma e decisione, tenendolo incollato allo schermo dal primo all'ultimo istante. Un' esordio quantomai incoraggiante a cui speriamo venga dato simile seguito.
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