Ben Stiller ci racconta “I sogni segreti di Walter Mitty”

Creato il 20 dicembre 2013 da Filmedvd

Venerdì scorso Ben Stiller era a Roma per presentare il suo nuovo film da regista, I sogni segreti di Walter Mitty, da lui anche interpretato. Per Stiller si tratta della quinta esperienza dietro la macchina da presa dopo Reality bites (da noi tradotto con Giovani, carini e disoccupati), Il rompiscatoleZoolander Tropic thunder e probabilmente anche del suo film più personale e sentito, un progetto ambizioso con un budget non da poco (90 milioni di dollari) e la pressione di un’operazione a lungo contesa e nel mirino di tanti registi di fama internazionale, da Steven Spielberg a Ron Howard.

Il film racconta di Walter Mitty, curatore dell’archivio di negativi di Life e uomo dalla testa perennemente tra le nuvole: Walter fa spesso sogni ad occhi aperti e il suo lavoro da impiegato, nonostante sia di grande responsabilità, viene spesso ignorato dai più e non soddisfa certo la sua sete inappagata di avventura e brividi in grado di togliere il fiato. In più, Walter è segretamente innamorato della collega Cheryl (Kristen Wiig), ma non ha mai trovato la forza di avvicinarsi a lei più di tanto o di sbilanciarsi. Il viaggio per il ritrovamento di un preziosissimo negativo porterà però Walter a vivere emozioni ed esperienze incredibili, ben al di là di ogni limite immaginabile. Ecco di seguito il resoconto della conferenza stampa del film, uscito nelle sale italiane il 19 dicembre.

Signor Stiller, quanto c’è della sua vita in questo film?

Ogni volta che si fa un film si va per forza di cose ad attingere alla situazione in cui ci si trova in quel momento come persona, per cui non posso dire di non averci messo quello che provo in questo momento come individuo, i problemi che ho. Dirigere un film è una grande opportunità, girare mi dà la possibilità di fare qualcosa che non avevo mai fatto prima, potermi spingere in territori diversi, nuovi, anche scomodi e magari a me non così congeniali, ma questo è il modo per rimanere coinvolti e impegnati in un progetto e dare il meglio di se stessi. Questa è stata dal punto di vista registico l’esperienza che mi ha dato maggiori soddisfazioni finora.

Questo film racchiude un po’ il suo personale senso della vita, perfino con qualche sprazzo di Aki Kaurismäki: ha lasciato da parte la sua vena grottesca per andare avanti da solo. Ha avuto paura? Che ci può dire di questa nuova visione?

E’ la sceneggiatura ad aver dettato lo stile del film. Provavo a sentire la storia di Walter, che per lavoro maneggia tutte queste fotografie, che passa tutta la sua vita a guardare gli altri fare cose straordinarie e incredibili mentre lui non hai mai fatto nulla, eppure dentro di sé ha qualcosa di enorme. E’ stata l’attenzione del protagonista per le immagini a dettare il tono, questo film è più aperto al cuore e molto meno cinico di qualsiasi altra cosa io abbia mai fatto, ma non è che l’abbia deciso prima. Stavolta non importava il numero di risate ma la portata e la spinta della storia. Ho avuto anche paura, certo, ma come ho detto contava inoltrarsi in un territorio in cui non mi sarei sentito troppo a mio agio. Trovo che sia fondamentale per un regista provare cose nuove, non adagiarsi.

Il protagonista del film è un ottimo skater. Lei che rapporto ha con questo sport?

Sono cresciuto a New York e pratico lo skate fin da bambino, è una parte della mia infanzia e ho fantastici ricordi in merito. Ho cominciato verso i nove / dieci anni, anche se non sono così bravo come il protagonista del film, non so mica fare tutte quelle acrobazie. Mi hanno messo un sacco di imbracature per evitare che mi facessi male, però posso dirlo, nei primi piani sono io! La cosa bella è che quest’estate ho cominciato a insegnarlo a mia figlia.

La sua, che si potrebbe definire una commedia esistenziale, pone a chiare lettere il seguente interrogativo: è possibile non tradire se stessi nell’epoca del virtuale e dei mondi paralleli?

Ecco perché mi piace venire in Italia, qui le persone sanno sempre cogliere le cose profonde dietro la commedia! (ride) Uno dei temi del film è l’idea di cercare di creare, da parte del protagonista, un legame, una connessione con le altre persone e anche con se stesso, perché questi sogni che Walter fa ad occhi aperti sono importanti per lui per poter andare avanti, gli consentono di continuare a vivere, di sopportare il peso della routine quotidiana. Al contempo però lo bloccano, gli impediscono di creare concretamente un rapporto con gli altri, portandolo a reprimere qualcosa che c’è dentro di lui, che è un uomo ritirato ma in fondo non così introverso. Oggi direi che è molto importante creare un legame con gli altri, soprattutto in quest’epoca di passaggio dall’analogico al digitale, in cui siamo distratti davvero da troppe cose. E’ molto più difficile avere una vera e propria interazione con gli altri, adattarsi alla realtà, essere davvero concreti, cercare i rapporti veri.

Il film parla anche del passaggio dall’analogico al digitale che tutti noi stiamo vivendo sulla nostra pelle. Che rapporto ha lei con questo processo e più in generale con le nuove tecnologie?

Io da ragazzino ho assistito per la prima volta a molte delle cose che oggi ci sono e sono date per scontate: il primo telefono cellulare, il primo computer, il primo videogame rudimentale. Oggi le informazioni si reperiscono da varie fonti, ma è sempre molto bello stringere una rivista vera tra le mani, appropriarsene fisicamente, una cosa che purtroppo oggi i giovani, che hanno molta difficoltà ad allontanarsi dagli schermi, capiscono sempre meno. Io per esempio detesto leggere gli e-book sui tablet e durante le ricerche negli archivi di Life per questo film mi sono reso conto di avere tra le mani davvero un pezzo di storia. E’ un peccato che i ragazzi di oggi non abbiano questa percezione, sono così tanti gli schermi e le fonti che l’arco dell’attenzione inevitabilmente si abbassa. Anche nel cinema, girare un film non più in pellicola ma in digitale è molto triste. Io amo girare in pellicola e per questo film non potevo fare altrimenti, è stata dura ma sentivo che dovevo fare questo sforzo. Un film che parla di un uomo alla ricerca di un negativo, non potevo di certo girarlo in digitale!

Qual è il suo rapporto con Sogni proibiti, il vecchio film del 1947 con Danny Kaye ispirato allo stesso racconto breve di James Thurber? E poi lo sa che in Italia è stato fatto un altro film analogo, Sogni mostruosamente proibiti, con una star locale, Paolo Villaggio?

No, non l’ho mai visto! Chi lo sa, magari l’avessi visto avrei potuto rubare qualche idea o ispirarmi per qualcosa. Ad ogni modo no, il film di Danny Kaye è proprio un’altra cosa, una commedia musicale classica che con il mio film non c’entra nulla, anche perché la storia è stata riscritta in modo completamente diverso. Non avevo intenzione di rifarla, d’altronde non mi risulta che oggi si facciano le commedie musicali meglio che allora. La sceneggiatura è vicina al racconto però ha in più un tono malinconico che mi piaceva, celebra la nobiltà di un uomo qualsiasi che ha grandi qualità anche se nessuno se avvede. Lo script del mio film si focalizza proprio su quest’aspetto più che su ogni altro.

Il suo Walter Mitty si potrebbe considerare una risposta odierna e aggiornata ai tempi attuali rispetto ai protagonisti di Reality bites?

All’epoca (era il 1994, ndr) mi sentivo sicuramente più vicino a quei personaggi, anche dal punto di vista anagrafico. Ora sono più consapevole della situazione e del momento che sto vivendo e so che vent’anni fa avevo una visione della vita molto diversa rispetto ad oggi, non pensavo a che punto e in che situazione mi trovavo, guardavo solo avanti. Quei personaggi rispecchiavano quello che ero, non solo come età ma anche in termini di frustrazione e rabbia.

Cosa si sente di dire a tutti i sognatori come Walter Mitty sparsi per il mondo?

Non credo di potere dire alle persone come debbano vivere la propria vita, ma per Walter Mitty quelle componenti sono il suo modo d’essere: sono proprio quei sogni e quegli occhi aperti che gli fungono da spinta, anche se fa un lavoro che in apparenza non richiede troppa creatività.


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