Benedetto Croce UN libro da salvare

Creato il 10 luglio 2010 da Gurufranc
LIBRI DA SALVARE
a ogni costo, pronte a combattere con ogni arma
II LIBRO DA SALVARE
Anche in questo caso ci si trova di fronte a una raccolta di scritti. L'eterogeneità, la qualità della scrittura, la ricerca attenta e l'interpretazione acuta delle fonti, ci pongono dinanzi a un Capolavoro che estende l'analisi delle storie e delle leggende napoletane sin dove giungono le radici da cui sorgono e traggono linfa vitale. Tale è STORIE E LEGGENDE NAPOLETANE di Benedetto CROCE. Non dovremmo aggiungere altro, giacché si avvale di una AVVERTENZA che spiega la freschezza e la vitalità del narrare quando aggiunge: Questi scritti furono da me composti taluni negli anni giovanili, e altri più tardi, ma togliendo a ogni modo sempre materia da miei studi giovanili; e sono trascelti dai parecchi che venni pubblicando in riviste storiche napoletane.
E: …ho pensato poi anche che il legame sentimentale col passato prepara e aiuta l'intelligenza storica, condizione di ogni vero avanzamento civile, e soprattutto assai ingentilisce gli animi; e mi è sembrato che ai nostri giorni non sia da spregiare nessuna forza, pur modesta e umile, che concorra a tal fine. Per queste considerazioni mi sono risoluto a rivedere, correggere, e talvolta riscrivere da cima a fondo, e a ridare alla luce, le mie "Storie e leggende napoletane".
Questa ultima attività non ha leso la freschezza di cui si diceva e certamente deve aver reso più vitale ciò che immaginò potesse ancora interessare i lettori. La prova? È nella attualità di questo suo ultimo pensiero: ancora non abbiamo imparato a remare nella stessa direzione. La struttura del libro consentirebbe anche una lettura, o rilettura, quella che ti fa scoprire cose centrali sfuggite di primo acchito, scegliendo in base alla gradevolezza dei titoli in indice. Noi abbiamo conservato per ultimo la rilettura del primo capitolo, UN ANGOLO DI NAPOLI, giacché vorremmo seguire le orme della scrittura per realizzare delle fotografie. Ovviamente è una operazione non necessaria, ma appare evidente come chi sia nato dopo, dovrà reinterpretare i luoghi e i palazzi. Dovrà anche riflettere su alcuni nomi. Quasi in ordine di apparizione e non tutti: re Roberto d'Angiò, regina Sancia di Maiorca, San Francesco delle Monache, Bernardino Rota, Tiberio e Malizia Carafa, Bernardino Ochino, Giulia Gonzaga, Chiara Attendolo, Marino Caracciolo, Ioannella Gesualdo, Caterina della Ratta, Giovanni da Nola, Luigi Tansillo, Pier Antonio Sanseverino, re Ferrante d'Aragona, Leonora Piccolomini, Luigi Borgia, Gian Francesco di Palma detto il Mormanno, Isabella della Rovere,Carlo Cito di Torrecuso, Embden Heine e non mancano addirittura Nerone e Tacito. Ve ne sarebbe a sufficienza per studiarci su qualche annetto.
La nostra rilettura è iniziata dal IV capitolo: "SENTENDO PARLARE UN VECCHIO NAPOLETANO DEL QUATTROCENTO". Ovvero dove secondo noi si dimostra che Benedetto Croce era un veggente. Si tratta di una conferenza che lesse alla Società napoletana di storia patria il 28 aprile 1913.
La profezia, che adesso potrebbe suonare facile e ovvia, è nell'incipit: Ho fantasticato talvolta sulle commozioni che proveranno i lontani posteri, quando potranno riudire (grazie agli archivi di perfezionati dischi, che di certo non tarderanno a costituirsi) le parole, il ritmo, l'inflessione, il timbro di voce, di personaggi celebri del passato. Saranno impressioni di solennità e sublimità, o non anche, e non piuttosto, di comico? Ho gran timore che, specie alla prima, il riso prevarrà sopra ogni altro effetto, perché le figure dei tempi remoti giungono all'immaginazione dei posteri idealizzate, per l'opera così del sentimento come del pensiero, che, compenetrandole in sé, le rendono quasi simboli di valori spirituali, laddove il realistico fonografo le riavvolgerà per qualche istante nelle scorie dalle quali si erano purificate, e, in via d'esempio, rifarà presnete la vocina sottile o in falsetto di un alto poeta tragico o la leggera balbuzie di un tenero poeta d'amore,e, in ogni caso, riecheggerà accenti fuori moda, e perciò ridicoli e grotteschi a primo suono.
Per non sciupare altre sorprese, qualora venisse a qualcuno voglia di leggere questo capitolo e il resto, aggiungiamo che il napoletano del '400 è quello contenuto nel codice forse autografo della Biblioteca Nazionale di Parigi (ms. ital. 913), giunto in quel luogo con altri codici della biblioteca aragonese, estirpati probabilmente da re Carlo VIII. A parlare è Loise de Rosa.
Sono sessantatre fogli divisi in tre diverse scritture, le ultime due corte: RICORDI, ENCOMIO DELL'ECCELLENZA DELLA CITTÁ DI NAPOLI, CRONACA DI NAPOLI.
La scrittura del documento, che presenta annotazioni dalle quali si deduce che vi fossero stesure precedenti, risale al periodo 1467-1475. Con prudenza il Croce ci dice che l'autore dovrebbe aver servito sei re, da Ladislao a Ferrante, e sei regine; sarebbe stato viceré del contado di Bisceglie e di Val di Gaudo; maestro di casa di Iacopo de la Marche e di Sergianni Caracciolo, e del cardinale Orsini, di quello di Cipro e del patriarca alessandrino, del principe di Salerno Orsini e poi del Sanseverino, del duca di Sora, del conte di Troia e di quello d'Ariano, del duca di Vasto e: de tutti li signure de lo Riame quando hanno sposate le loro donne…
Scritto Da Alessia e Michela Orlando Nicoletti

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