Pubblico con grande piacere le considerazioni di Marcello Madau sullo spettacolo “costituzionale” di Roberto Benigni.
Sull’intervento di Benigni ieri sera su RAI1 volevo proporre alcune osservazioni. Ho seguito a fatica l’intervento: ero un po’ annoiato, ma mi sono fatto forza perché mi sembra utile capire gli attuali movimenti comunicativi su questi temi in uno scenario di massa come RAI1 in prima serata.
Dico subito che non mi convince la critica al cachet professionale di Benigni, pur altissimo. Sappiamo che un cachet commisurato all’audience pubblicitario conseguente, può avere una giustificazione economica (avendo però la coscienza che tale giustificazione è ovviamente molto forte per chi si avvantaggia politicamente da questa operazione).
Ho apprezzato il tentativo di portare in comunicazione allargata i temi della Costituzione. Non era mai successo e ben venga l’idea. Ma trovo molto significativo, e un po’ preoccupante, il quadro generale nel quale si è collocata: quello di una proposta molto moderata, e non di rado falsa, di lettura del Novecento, anche con imbarazzanti toni anticomunisti, che distorce addirittura le principali ragioni della seconda guerra mondiale e annulla la differenza fra responsabili nazi-fascisti e attori della liberazione.
L’ oggettivo sdoganamento dei repubblichini in nome di una comunanza tricolore è in sé coerente con tali letture complessive.
E’ sparita la corrosiva critica di Benigni alla religione di Stato: l’enfatizzazione positiva dell’articolo della Costituzione sulla libertà religiosa (in ogni caso legato ai Patti Lateranensi sempre mantenuti), ha come bilanciamento ideologico l’inaccettabile assunto (non è necessario essere trinariciuti o anticlericali per trovarlo così) che “la religione storicamente è la libertà delle libertà”. Pensavo lo fosse la libertà dal bisogno, dal potere di altri sul tuo lavoro e la tua esistenza.
Anche l’accentuazione del patriottismo mi è parsa, di nuovo, a scapito delle diverse realtà che fanno il mosaico bellissimo dello Stato italiano e delle sue molteplici identità.
Ben altra efficacia avrebbe avuto in ogni caso la proposta di comunicare i valori, straordinariamente positivi, della Costituzione se avesse anche criticato l’inserimento del pareggio di bilancio, vero e proprio sabotaggio dell’originaria, felice riferimento dei padri costituenti ad una società basata sul lavoro e sulla libertà. Tale linea è svuotata dalla sequenza Sacconi-art. 8-art. 18-Fornero-inserimento del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale.
Queste presenze e queste assenze ci devono far interrogare sul contesto. A mio parere disegnano un quadro coerente non solo con il riferimento di Benigni al PD, ma probabilmente al guardiano del liberismo europeo Mario Monti, entro un quadro di alleanza, già in atto, tra le due realtà politiche. Le critiche sono a Berlusconi, ma il suo spettro mi pare oggi uno specchietto per le allodole per oscurare un padrone più grande e potente.
Ho visto questo ‘oscuramento’ anche nel campo a me lavorativamente più vicino, l’articolo 9 sui beni culturali e su paesaggio: eppure Ornaghi e Profumo stanno aggiungendo danni non meno gravi di quelli di Bondi e Gelmini.
Dopodiché la mia impressione è che l’attenzione focale in sé positiva sulla bellezza della Costituzione, poichè elaborata assieme all’assenza di ogni reale satira e critica al montismo, si muovano sul piano di un nuovo compromesso storico. Con soggetti ben meno nobili e ragioni ben diverse di quelle di una volta… Un aggiornamento assai moderato del vecchio ‘Berlinguer ti voglio bene’, sufficientemente anticomunista come la linea prevalente del PD e il suo asse di alleanze.
A margine, mi ha infine assai colpito l’aggressività con la quale, invece di discutere delle critiche, si attacca chi le fa. Benigni non disturba i veri manovratori di oggi. Ma a sinistra non si deve disturbare il nuovo entrismo nei collegi. Sarebbe più semplice, e più onesto, separare la realtà elettorale che ognuno autonomamente e legittimamente organizza secondo i suoi obiettivi, dall’esercizio della critica.
Mi sembra un altro frutto avvelenato del processo di omologazione della realtà alla piccola politica elettorale.
Marcello Madau è un archeologo. Insegna all’Accademia di Belle Arti “Sironi” di Sassari.