Benvenuti ai David, un premio in cui noi credevamo. Silenziosa storia di rifiuti impossibili (con ritornanti sullo sfondo).

Creato il 15 aprile 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

In Italia comandano i morti. A Marco Bellocchio, nel suo Regista di Matrimoni per bocca di Gianni Cavina, spetta un dignitoso secondo posto nell’importante approdo a quest’amara disamina. Dopo aver scovato tra i vecchi volumi una più estesa e meno politicizzata considerazione a firma di Ray Bradbury, come la nobile base per tante rimasticature, surrogati e succedanei della stessa riflessione. Fare il cinema in fin dei conti è semplice, basta “…prendere i morti e farli camminare”, e questo per diretta emanazione del pensiero di chi ha scritto, fra l’altro, un film per John Huston. Ed è in tale, desolato, paesaggio nebbioso con ritornanti putrescenti sullo sfondo, che il marmoreo David di Donatello spicca inquietante. Ancora integro malgrado tutto, eppure avvolto di malerba e rovi come stretti legacci, fra le nicchie e i loculi di quel polveroso cimitero monumentale che oggi appare il cinema italiano, d’autore e non.

Questo proiettile è un proiettile antico. Di quelli esplosi non prima di una mira chirurgica, silenziati in modo da non generare il minimo fastidio a chi ne possa percepire la blanda ma mortifera detonazione. Le candidature di quest’anno, per i premi indetti dall’Accademia del Cinema Italiano, hanno già suscitato malumori ed aspre critiche anche dagli “aventi diritto”, i partecipanti alle stesse votazioni che, sgomitando fra un nugolo di conoscenti ed amici degli amici, fungono da parte attiva alle selezioni per il riconoscimento. Il David nasce dal cinema, dagli addetti ai lavori, per premiare lo stesso cinema, ma anche per essere un metro di valutazione attendibile del potere di produzioni e case di distribuzione. In questa logica, o perlomeno nelle ambigue regole di tali giochi, quest’anno non sono stati usati particolari occhi di riguardo per pellicole nostrane dichiaratamente d’autore ma anche, incredibilmente, verso conclamati successi al botteghino. Lo strabismo “accademico” del Donatello, peggiorato in quest’edizione più che in altre, ha fatto già le sue illustri vittime. Ha lasciato cadere nel dimenticatoio un film come Una Sconfinata Giovinezza di Pupi Avati, con un superbo Fabrizio Bentivoglio protagonista di una storia d’amore capace di sfidare le barriere del tempo e della malattia, ma anche il grande successo di quest’annata nelle sale, l’esilarante commedia Che Bella Giornata di e con Checco Zalone.

L’unità d’Italia, i festeggiamenti per i trascorsi centocinquant’anni, hanno riportato in auge il dramma storico, con ambizioni da post-revisionismo amaro, come Noi Credevamo, per la regia di Mario Martone. Film già presentato in pompa magna a Venezia, col Presidente Napolitano in sala a benedirne ogni singolo fotogramma. Malgrado ciò la pellicola risorgimentale di Martone, costata quattro milioni di euro e co-prodotta con i francesi di Les Films d’Ici, non è riuscita a convincere i giurati alla Mostra d’Arte Cinematografica veneziana così come i semplici spettatori, finendo inevitabilmente fra le seconde visioni e i programmi dei cineforum, aspettando una pronta prima serata sul piccolo schermo per farsi realmente apprezzare. Con ben tredici candidature, Noi Credevamo è il film che più ha convinto, invece, i 1.300 aventi diritto al voto della giuria dei David.

Una sorte diversa, ma un metro di valutazione similmente atipico o quantomeno ambiguo, è toccata alla commedia Benvenuti al Sud di Luca Miniero. Remake di un film francese (Giù al Nord di Dany Boon), capace di sbancare i botteghini nei patrii confini ma di passare semi-inosservato alla sua distribuzione italiana. Il film con Claudio Bisio invece, forte di un successo inizialmente insperato al box-office, per la giuria dei David passa dalla medaglia d’oro della provincia di Salerno alle ben dieci nomination in categorie tutt’altro che minori.

Quest’anno le candidature per i David di Donatello hanno cercato di tenere insieme quanti più elementi, quanti più nomi e titoli, malgrado le eterogenee proposte portate avanti con spavalderia di sezione in sezione. Un gran bollito, un fritto misto all’italiana servito come contorno alla kermesse. Una spregiudicatezza pagata, sopratutto, in termini di credibilità, nel rapporto complesso e fragile fra i nominati, il pubblico e la critica. Abbondano gli esempi. Marco Bellocchio, con Sorelle Mai, contende la statuetta per la regia, fra gli altri, al Luca Miniero di Benvenuti al Sud ed a Michelangelo Frammartino (Le Quattro Volte). Elio Germano (La Nostra Vita), vincitore del premio per la migliore interpretazione maschile al festival di Cannes dello scorso anno, è in lizza per un David accanto a Claudio Bisio (Benvenuti al Sud) e Vinicio Marchioni (20 Sigarette). Ancora più “stravaganti” le nomination a Paola Cortellesi, per Nessuno mi può Giudicare, o al comico partenopeo Alessandro Siani, ancora per Benvenuti al Sud, rispettivamente nelle categorie “miglior attrice” e “miglior attore non protagonista”. Il panorama prospettato da questi David è quello di un’aridità, di una sterilità nelle proposte, che nella rosa di nomi candidati non si rispecchia completamente nell’offerta cinematografica nostrana della scorsa stagione.

Davanti all’immotivata esclusione di alcune pellicole, ed in particolar modo del suo protetto Checco Zalone e quindi di Che Bella Giornata, il produttore Pietro Valsecchi della TaoDue ha accusato la giura del David di aver tradito il pubblico, di aver organizzato un premio attorno a pochi nomi, cieco perfino davanti ai quaranta e rotti milioni di euro incassati dal suo film. I 1.300 votanti hanno preferito Benvenuti al Sud e Nessuno mi può Giudicare, hanno regalato insperate nomination anche a chi non poteva vantare alcuna superiore qualità realizzativa nei confronti del successo di Valsecchi e Zalone. Nessuno, intanto, s’azzarda ad avanzare l’ipotesi di istituire un premio esclusivo per la miglior commedia, vista la larga offerta nostrana nel genere, per valorizzare e meglio premiare le pellicole in concorso.

Una Sconfinata Giovinezza di Pupi Avati, invece, è un film che per la strabica giuria dei David pare non essere mai uscito nelle sale. Non è così, e ne sono testimoni attendibili gli spettatori ma anche la stampa, la critica, che ha seguito il film con il dovuto interesse.

Il proiettile più doloroso, meglio silenziato, colpisce con fredda precisione i corpi isolati dagli altri, in qualche modo esterni ed estranei alle lotte, a suon di colpacci al botteghino, fugaci apparizioni in poche copie e ambizioni sociali valevoli per un riconoscimento “accademico”, qualunque esso sia. Le pellicole di Avati e Zalone, Una Sconfinata Giovinezza e Che Bella Giornata, pagano il salato dazio di aver trovato le porte chiuse da una commemorazione annunciata (Così Credevamo); di essere capitate loro malgrado fra le grinfie di votanti distratti, troppo scettici per attuare un reale rinnovamento nel nome dei gusti e dei meriti. Il peccato più grave, è bene dirlo, resta il mancato invito alle nomination. Il terribile, imbarazzante, silenzio seguito all’esclusione di questi film. Non aver avuto un posto fra gli ospiti al gran ballo degli spettri, delle ombre cupe del “cimitero monumentale”, che affollano ogni categoria dei nominati. Film come ectoplasmi, distribuiti in poche copie, graziati da nomination insperate quanto, per loro, salvifiche. 1.300 votanti hanno ignorato Che Bella Giornata e il film di Avati per inseguire prodotti proto-televisivi e corteggiare film d’essai, con commedie demenziali a corollario di una proliferazione di titoli confusa più che vasta. Si sono concessi il lusso della commistione a tutti i costi; hanno attribuito al successo di Benvenuti al Sud il valore e la consistenza di uno spaccato del nostro Paese, consegnando all’Accademia le risate di una “questione meridionale” risolta con degustazione di specialità locali, finita in scampagnata. Benvenuti al Sud è l’antitesi di Noi Credevamo, è guardabile come desolante e desolato approdo di quei valori espressi e poi traditi. I David ci hanno offerto il risorgimento e la caduta, l’ideale e lo smarrimento.

In Italia comandano i morti. In Italia trovarsi dalla parte sbagliata, qualunque essa realmente sia, vuol dire sopratutto subire conseguenze nefaste sotto gli occhi di tutti, nell’apatia generale, e patire le ingiustizie di una smemoratezza a intermittenza, per nulla giustificabile come l’Alzheimer, per nulla sbilenca e buffa come le moine del giullaresco Zalone. Un meccanismo dell’esclusione preventiva, capace di colpire con ambiguo arbitrio e in maniera malignamente lucida. Aspettando il Grande Giudizio del 6 Maggio, data di consegna delle statuette, fra i loculi con vista di un cinema mai così immobile nelle scelte e nei criteri di selezione per i premi, è bene parlare di questi inspiegati rifiuti ed analizzarne le cause e gli effetti, cercare di porre rimedio alla grande opera di “distrazione” così come allo strabismo accademico, di solito endemico in certi salotti televisivi.È bene continuare a parlare di queste cose, informare: perché un pregiudizio o un’immotivata esclusione non facciano parte dei colpevoli precedenti di questo premio, perché l’ennesimo peccato non resti impunito sotto il sole. Se si vuole continuare a ciarlare ancora di politiche per il cinema e sovranità (legittima) del pubblico, del giudizio imprescindibile della critica o della riconosciuta importanza di un valore sociale o artistico come d’intrattenimento, in questa Nazione. Fra i ritornati e i reduci dei David, in una lista di 1.300 votanti lunga come un solenne e marmoreo epitaffio, quest’anno più che mai, è bene iniziare ad operare una definitiva, necessariamente dolorosa, selezione.

As Chianese


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